Come parafulmini

La strage di Zugo lascerà dei segni. È inevitabile. Anche se la voglia di non rinchiudersi in un bunker di incertezze è grande. Ed è un buon segno. Corali, e praticamente unanimi, gli appelli dei politici: «La cultura democratica della Svizzera non deve cedere alla paura e il Parlamento deve restare una casa aperta». Le istituzioni, insomma, non devono permettere a questa ferita, seppur terribile, di scalfirne la solidità e, soprattutto, la caratteristica primordiale che le vuole aperte al pubblico. Impossibile, comunque, non rafforzare le misure di sicurezza intese a proteggere e non a blindare. Nonostante gli appelli alla ragione, i sentimenti di insicurezza potrebbero compromettere il rapporto che il cittadino e le cittadine hanno con le istituzioni. Più rassicuranti i commenti dei politologi, secondo cui la strage di Zugo obbligherà a ripensare le misure di sicurezza, ma non dovrebbe condurre a un ripensamento del rapporto fra cittadino e istituzioni politiche. Il problema è semmai quello della crescente sfiducia nella classe politica, delegittimata da scandali e scandaletti (spesso legati a scambi di favore) che generano più che paura, diffidenza e indignazione. Certo è che la violenza, spesso latente, ora è esplosa in tutta la sua furia. E ha toccato la Svizzera, un’isola felice che ha sempre vissuto con un certo distacco, a volte con indifferenza, le tragedie degli altri. «La sicura Svizzera – leggiamo sul «Tages Anzeiger» – ci sembrava lontana dalle bombe, dagli attentati suicidi; scuotevamo la testa quando leggevamo di studenti impazziti che nelle scuole americane uccidevano i propri compagni. Ci consolavamo pensando che qui la nostra società non è poi così malata, e che queste cose non succedono». Il risveglio, da questo sonno sereno, è stato brusco. Molto brusco. Ci scopriamo un paese «normale» con tutte le sue contraddizioni. Dobbiamo accettarle e cercare di sviluppare altre modalità di relazione sia sul piano personale sia, e soprattutto, sul piano politico e sociale. Sull’impatto che ha avuto la carneficina di Zugo su tutto il Paese, abbiamo deciso di porre alcune domande alla consigliera federale socialista Ruth Dreifuss che ha sempre avuto con il pubblico un contatto estremamente facile. «Dopo il dolore il coraggio» La strage di Zugo ci ha scossi tutti. I commenti e le analisi si sono moltiplicati per cercare di comprendere questa mattanza. Signora Ruth Dreifuss secondo lei quale impatto può avere sulle istituzioni e sul rapporto cittadino-istituzioni-politica la strage di Zugo? Ho provato sgomento ed un’immensa tristezza. Sono sconvolta per quello che hanno subito le vittime, le famiglie coinvolte e le conseguenze nel canton Zugo. Vorrei augurare molta forza e coraggio a tutte le persone toccate da questa strage provocata da un atto di follia individuale. Anche noi siamo feriti da questo odio nei confronti dello Stato e dei suoi rappresentanti. In una società sempre più complessa, anonima e talvolta individualistica i politici rappresentano un punto di riferimento importante per le persone; una sorta di parafulmine che raccoglie le richieste, le rivendicazioni e talvolta le lamentele delle persone che ritengono di aver subito un’ingiustizia. Per questo è importante rispondere rapidamente ed in modo comprensibile a tutte le lettere della popolazione. Sono convinta che dobbiamo prendere ancora più sul serio le rivendicazioni del nostro datore di lavoro: la popolazione. Non dobbiamo rinchiuderci in noi stessi, ma essere attenti e aperti per poter identificare per tempo i segnali di malessere, solitudine delle persone che ci circondano nel nostro cammino quotidiano. Tutti le riconoscono un contatto straordinariamente facile con la popolazione. Dopo Zugo cambierà le sue abitudini? Nella mia attività c’è sempre un certo margine di rischio e tutti i consiglieri federali ne sono consapevoli. Siamo orgogliosi delle peculiarità della nostra democrazia diretta e vogliamo vivere in modo normale. Non cambierò quindi le mie abitudini. Venerdì scorso nel bus – che solitamente prendo per recarmi al lavoro – un viaggiatore mi ha ringraziato. I servizi di sicurezza federale e cantonale ci garantiscono infine una protezione discreta ed adeguata alle diverse situazioni. Sarebbe tuttavia un errore adattare e organizzare la sicurezza in base al caso più estremo ed imprevedibile. In Svizzera circolano molte armi. Durante la trasmissione della televisione romanda «Droit de Cité» Lei ha invitato i graduati dell’esercito ad insegnare alle giovani reclute che la guerra è un’aberrazione e che le armi sono strumenti pericolosi. Ritiene necessaria una riforma della legge sulle armi in Svizzera? È necessario rendersi conto della pericolosità di un’arma ed evitare ad ogni costo una banalizzazione. Malgrado le riforme intraprese negli scorsi anni la Svizzera è rimasta un supermercato delle armi che possono essere acquistate con troppa facilità. Credo che una riforma della legge sulle armi s’imponga per ridurre il potenziale d’abuso. Un gruppo di lavoro è attualmente alla prese con un progetto di revisione: si tratta in particolare di esaminare l’opportunità d’introdurre un porto d’armi per la vendita fra privati e di rifiutarlo alle persone che hanno commesso un crimine. Ma una riforma della legge sulle armi non è sufficiente. È necessaria una risposta globale per evitare che la nostra società diventi una società di individui persi, slegati e poco valorizzati. Per raggiungere questo obiettivo la politica è necessaria nei diversi settori d’attività: dalla politica sociale a quella culturale senza dimenticare il ruolo del sistema educativo nell’apprendimento del rispetto reciproco e della tolleranza.

Pubblicato il

05.10.2001 02:30
Françoise Gehring Amato