Lockdown e campagna di vaccinazione a tappeto stanno mettendo all’angolo Covid-19, ma solo nei paesi avanzati che dispongono di mezzi finanziari e sanitari! Non è il caso per gli abitanti di taluni continenti (America Latina, Africa) o grandi paesi (India, Bangladesh per non citare che i più popolati) che continuano a essere indifesi al virus. Due priorità accomunano i governanti dei paesi avanzati: a) affrontare e diminuire il debito pubblico schizzato mediamente di almeno 20 punti percentuali a seguito di misure economiche straordinarie; b) orientare il mercato al Green (zero gas serra entro 2050) per evitare l’incombenza ambientale (tema prioritario già prima del coronavirus). Silenzio invece sulla necessità di eliminare povertà e precarietà: quella pre-esistente al Covid-19 che costringe persone, famiglie e bambini a vivere in alloggi fatiscenti, insalubri e proprio per ciò più colpiti dal virus. Povertà, frutto della riorganizzazione del lavoro, in cui sempre più lavoratrici e lavoratori, anche nella nostra Elvezia, sono costretti ad accettare ciò che il mercato offre: lavoro su chiamata o a tempo determinato, remunerazione oraria tutto compreso. Per far uscire dalla precarietà l’establishment politico odierno continua ad affidarsi ai precetti del neoliberismo (il «vecchio mondo che non vuol morire») insistendo sulla priorità di libero scambio, libero commercio, che sono la causa diretta delle penurie vissute e di suddetti problemi sociali. Paradossalmente il commercio può diventare la chiave di volta per una transizione ecologica e sociale. A spiegarlo è uno studio recente dell’istituto Veblen – da sempre attento alle questioni socio-economiche-ambientali. In sintesi i 5 punti della proposta: 1. Fare del commercio internazionale una leva per la diplomazia del clima, la cooperazione fiscale e la protezione dei diritti umani. Modalità: imporre sanzioni commerciali ai paesi che commettono gravi violazioni ambientali e dei diritti umani, che non si impegnano a combattere l’evasione fiscale. Sì invece agli accordi bilaterali con paesi fermamente impegnati nell’attuazione degli impegni internazionali. 2. Includere clausole di sospensione dei benefici commerciali in tutti i futuri accordi commerciali bilaterali in caso di mancato rispetto degli impegni internazionali climatici, sociali e fiscali. 3. Introdurre l’eccezione agri-culturale. Siccome i beni agricoli non sono merci come altre, occorre negare l’accesso al mercato di beni agricoli prodotti secondo pratiche dannose e proibite dalla legge del paese (per esempio la carne alimentata con farine animali o i cereali trattati con pesticidi il cui uso è proibito in Europa). 4. Attuare una tassa sul carbonio alla frontiera per rafforzare l’azione contro il cambiamento climatico, e assicurare al contempo condizioni di parità per i produttori dei paesi che li rispettano. Ciò implica stralciare le «borse del carbonio» che consentono ai paesi di acquisire bonus e di monitorare le merci onde ridurre i rischi di rifocalizzazione del carbonio (produrre altrove dove le leggi sono meno restrittive). 5. Abolire i tribunali arbitrali che consentono alle multinazionali di attaccare gli Stati quando questi adottano una legislazione contraria agli interessi delle aziende; e al contempo introdurre norme vincolanti sul rispetto dei diritti umani delle Nazioni Unite. Insomma non si può vivere in autarchia, nessun paese può permetterselo, tuttavia cambiando le regole che reggono il commercio è possibile raggiungere importanti obiettivi: transizione ecologica, diritti sociali per tutti e in tutti i paesi. Una decisione che spetta alla politica, soprattutto fra paesi membri di aree economiche e tra queste. A tutt’ora nulla in tal senso all’orizzonte, siccome ne va dell’esigenza dell’umanità: mai dire mai.
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