Col Dna tutti sospetti

Una legge si aggira per la Confederazione. Senza fare rumore, compie le tappe del suo iter ed in primavera sarà approvata dal Consiglio degli Stati. I media ne parlano poco, eppure è una legge all’avanguardia: stabilisce che le persone sospettate o condannate per un reato, qualunque esso sia, devono essere registrate in una banca dati del Dna. Per rimanere a disposizione delle forze di polizia «a scopo comparativo»: ogni volta che sarà trovata una traccia di Dna su un “luogo del delitto”, verrà messa a confronto con i profili conservati, alla ricerca di una corrispondenza che avrà valore di indizio, ma più spesso sarà percepita nelle aule di tribunale come una prova di colpevolezza. Giuristi e deputati di ogni schieramento hanno espresso forti critiche su un provvedimento che metterebbe a repentaglio i diritti fondamentali dell’individuo. Ma la legge va avanti: è passata con una risicata maggioranza in settembre al Nazionale e dalla scorsa settimana è in discussione alla Commissione giustizia del Consiglio degli Stati. La Svizzera ha una banca dati sperimentale del Dna dal 2000, che contiene persone sospettate o condannate per reati elencati in un apposito Catalogo: omicidio intenzionale, furto, rapina, reati sessuali. Il prelievo avviene con un bastoncino ovattato, che viene strofinato all’interno della bocca per prelevare frammenti di cellule. Il campione viene poi inviato ad un laboratorio di medicina legale, che ne estrae un Profilo Dna, anche detto impronta digitale genetica: una sequenza uguale solo nei gemelli identici ed in una persona ogni 20 miliardi. Finora sono stati inseriti in banca dati 23 mila 449 profili, oltre mille 500 di minori di 18 anni.E grandi sono state le differenze di applicazione fra i diversi cantoni, per scelte di politica criminale, ma più spesso di budget: ricavare un profilo costa 300 franchi. La nuova legge punta a uniformare procedure e pratiche, ma nel testo elaborato dal Governo non c’è più un catalogo dei reati. E dunque dal prossimo anno, salvo emendamenti, chiunque compia una piccola scorrettezza potrà essere inserito nella banca dati: basterà una multa non pagata. Secondo l’Ufficio federale di Giustizia «il Catalogo ha un limite, come vediamo con la legge sulle intercettazioni telefoniche: va continuamente aggiornato. Al contrario, senza un catalogo polizia e magistratura sono costrette a valutare con attenzione se chiedere un test del Dna». Va forte in Svizzera anche la tesi del criminologo Martin Kilias: «Ogni carriera criminale inizia con un delitto minore: se volete incastrare una persona che commette una violazione grave, deve essere stata inserita in precedenza nella banca dati». Avete visto l’ultimo film di Steven Spielberg, Minority Report? Tom Cruise è a capo di un reparto di polizia che arresta persone che hanno pensato di compiere un omicidio. Scenario da fantascienza? Neanche troppo: con la nuova legge sul Dna, non sarà necessario avere compiuto un reato, per essere coinvolti in un’inchiesta. Sarà sufficiente avere subito una condanna: la legge prevede che possa essere inserito nella banca dati chi sta scontando una pena detentiva superiore ad un anno e al diavolo il principio antico che una volta pagato il debito con la società, saremo di nuovo liberi. Secondo il deputato socialista Niels de Dardel «si tratta di una violazione grossolana di un fondamento della giurisprudenza internazionale, la presunzione di innocenza». Il vero nodo della legge riguarda il tempo di conservazione dei profili: se avete pagato una multa o siete stati assolti per insufficienza di prove, rimarrete nella banca dati per 5 anni; se siete stati condannati, dai 10 ai 30 anni. È arrabbiato Hanspeter Thür, incaricato federale alla protezione dei dati: «Non è giusto che una persona che una volta ha compiuto un errore, è destinata a rimanere per sempre sotto il sospetto generico di poterci ricascare». Guardate cosa potrebbe capitare nel 2005 al signor Baumgartner: passa con il rosso ad un semaforo e per questo entra nella banca dati del Dna. Un giorno compra una radio in un negozio, dove poco dopo si verifica un furto. Il signor Baumgartner ha perso un capello vicino alla cassa, mentre pagava la sua radio: viene chiamato dal giudice e per uscire dalla rosa dei sospetti dovrà giustificare il suo passaggio in quel negozio. Non più innocente, non ancora colpevole. In due anni, la banca dati sperimentale ha consentito di fare luce su mille 744 casi: per l’80 per cento, furti e rapine. D’altronde nel messaggio alle Camere il Governo è esplicito: «Proponiamo che l’analisi del Dna venga utilizzata su larga scala (...). In Svizzera il sentimento di insicurezza nella popolazione non è provocato solo dai crimini capitali contro la vita e l’integrità fisica o sessuale, ma anche, in forte misura, dalla commissione in serie di reati contro la proprietà. (...) Un’elevata percentuale di successi ha inoltre un certo effetto deterrente e accresce la fiducia nella protezione ad opera della polizia e delle autorità preposte al perseguimento penale». Ma a guardare all’esperienza fatta finora, molte insidie si nascondono proprio nelle procedure. Il canton Zurigo ha fatto un uso estensivo dello strumento, con 8 mila 500 profili raccolti ed una sequela di polemiche sui media: non sarebbe rispettato il diritto all’informazione, né tantomeno quello di opporsi al prelievo, che dovrebbe dunque essere ordinato da un magistrato. L’avvocato Marcel Bosonnet lamenta che ogni settimana ha un nuovo cliente cui è stato prelevato Dna: «Ma nei loro dossier non posso vedere in nessun modo se questa analisi é stata effettuata. Devo scrivere una lettera e chiedere: l’avete preso, che ne avete fatto, qual e’ stato il risultato?». Le spese le fa chi non si può permettere un avvocato e magari non conosce le lingue nazionali. Ha fatto scalpore il caso di un cittadino turco, cui é stato prelevato il Dna perché non aveva pagato una multa: un caso che sarà normale amministrazione, con la legge in discussione al Consiglio degli Stati.

Pubblicato il

07.02.2003 01:30
Serena Tinari