Cofferati, nascita di un leader

Due eventi importanti per la sinistra italiana hanno inaugurato l’anno nuovo. Il primo è il meeting al Palasport di Firenze, dove l’ex segretario generale della Cgil Sergio Cofferati è stato incoronato a furor di popolo leader dell’opposizione politica al governo Berlusconi. Prende cosi corpo il tentativo di rimettere in piedi una forza moderata, riformista, democratica, ma non subalterna al pensiero dominante, anzi permeabile alle sollecitazioni dei movimenti sociali, dai girotondini ai no global, passando attraverso le mobilitazioni del “ceto medio riflessivo” in difesa della magistratura e del pluralismo informativo e contro le insorgenze razziste ormai codificate in leggi, a partire dalla famigerata Bossi-Fini. Ma soprattutto, il sostegno a Cofferati viene dal "popolo dei diritti", i milioni di lavoratori che dietro le bandiere della Cgil hanno segnato l’anno che abbiamo alle spalle con le straordinarie manifestazioni contro l’affossamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che impedisce i licenziamenti individuali senza giusta causa. Un altro motore di una riaggregazione a sinistra è la battaglia per la pace, contro i venti di guerra che soffiano da oltre Atlantico. In questa sfida Cofferati è in prima fila - si sa che al momento di lasciare la guida della Cgil, l’impiegato della Pirelli ha imposto una condizione al suo successore Guglielmo Epifani e alla sua organizzazione: la dichiarazione dello sciopero generale nel caso in cui la parola passasse alle bombe – insieme al leader di Emergency, Gino Strada. Il secondo evento che caratterizzerà le prossime settimane è la ripresa del conflitto sociale in difesa del primo dei diritti attaccati dal governo Berlusconi e dalla linea oltranzista e liberista del padronato italiano: il diritto al lavoro. La crisi Fiat esplosa nei mesi scorsi non è che la punta dell’iceberg, l’emergenza di una crisi economica che sta assumendo aspetti drammatici. E’ in atto in Italia un rapido processo di deindustrializzazione, dall’informatica all’elettronica, dalla siderurgia alle telecomunicazioni, dalla chimica alla farmaceutica. L’ultima grande industria nazionale è – era, si potrebbe dire – quella automobilistica. Un capitalismo familiare in disfacimento (la litigiosa famiglia Agnelli) sta facendo affondare nei debiti la multinazionale torinese, dopo aver dirottato ogni risorsa alla rendita e alla finanziarizzazione del gruppo, con la conseguente perdita di competitività del “core business”, l’automobile, appunto. Sotto l’occhio interessato del cavaliere di Arcore, che punta a sfilare al Lingotto l’ultimo pezzo di editoria e di pubblicità non ancora berlusconizzato, la Rizzoli-Corriere della sera, si affollano sulla Fiat gli avvoltoi pronti a spolpare la carcassa dell’elefante morente. A battersi per il salvataggio della Fiat, non dei suoi azionisti ma di un secolo di cultura del lavoro e d’impresa, del know how, di decine di migliaia di posti di lavoro, sono rimasti soltanto i metalmeccanici della Fiom. A sostegno di questa battaglia e in difesa dell’occupazione – sono 300 mila i posti di lavoro a rischio in Italia nei prossimi mesi – la Cgil ha indetto per febbraio uno sciopero generale dell’industria e dell’artigianato. La Cgil da sola, perché è andato troppo avanti per sperare di fermarlo il processo di trasformazione di Cisl e Uil in sindacati di governo che ritengono chiusa la stagione del conflitto con l’esecutivo e con la controparte padronale: da mesi si susseguono le firme di accordi separati, dal Patto per l’Italia alla gestione del piano di liquidazione della Fiat. Ma la Cgil da sola raccoglie comunque il consenso della maggioranza del mondo del lavoro ed ha la simpatia di una parte importante della società che si è rimessa in movimento dal luglio genovese del 2001. Ci sarebbe di che essere ottimisti, limitandosi a guardare i fermenti sociali che scuotono l’Italia di Berlusconi. Se non ché, alla resistenza civile italiana che ha come protagonisti lavoratori e ceti medi, intellettualità, uomini di cultura e, soprattutto, una nuova generazione di attori sociali che si battono contro la globalizzazione neoliberista e contro la guerra, non corrisponde una sinistra politica in grado, se non di rappresentare i movimenti, almeno di offrir loro una sponda. L’Ulivo è in disfacimento, ed è proprio per rifondare un’opposizione di centrosinistra che Sergio Cofferati si è messo a disposizione trovando un’ostilità durissima da parte del gruppo dirigente dei Democratici di sinistra e dell’apparato dell’erede più importante del Partito comunista. A guidare le ostilità contro l’ex segretario della Cgil è Massimo D’Alema, l’uomo dell’inciucio e della Bicamerale che tenta di riaprire il confronto e il compromesso con Berlusconi e la destra padronale, fascista e razzista. A sinistra, Bertinotti ha un atteggiamento contraddittorio nei confronti della battaglia condotta da Cofferati, rivendicando la centralità del partito (il suo: Rifondazione comunista) e lo jus primae noctis nel rapporto con i movimenti. I quali movimenti, no global in testa, osservano con qualche fastidio le risse a sinistra e continuano per la propria strada nelle battaglie sociali, senza dimenticare chi sono i veri nemici nazionali e internazionali. Ma intanto Berlusconi va avanti, distruggendo le basi della costituzione formale e di quella sostanziale. O si troverà un raccordo tra opposizione politica (un’altra, rifondata nelle idee e nei gruppi dirigenti) e opposizione sociale, oppure la marcia trionfale di Sua Emittenza si lascerà alle spalle un paese ribelle ma sconfitto, alla fine sterilizzato.

Pubblicato il

17.01.2003 03:00
Loris Campetti