Clariant rende ma non abbastanza

Non è giunto a ciel sereno, ma l'annuncio ha avuto l'effetto di uno shock: il gruppo chimico basilese Clariant taglia ulteriori 500 posti di lavoro, di cui 400 alla produzione presso la sede centrale di Muttenz. L'ennesimo colpo basso per i lavoratori di un'impresa rovinata dall'imperizia dei suoi manager.

«Siamo rimasti shoccati. Qualcosa era nell'aria, ma non ci aspettavamo un taglio di queste proporzioni: significa di fatto cessare la produzione a Muttenz, tranne una produzione marginale di additivi. È un pugno in pieno volto. Sappiamo anche quali edifici verranno chiusi – e tutti coloro che lavorano in questi edifici lo sanno». A parlare così, ai microfoni di Telebasel, è Jörg Studer, presidente della commissione del personale della Clariant. Poche ore prima, il 16 febbraio, il Ceo di Clariant aveva comunicato la decisione del management della società chimica basilese: non ai lavoratori riuniti a Muttenz, ma ai giornalisti convocati alla Borsa di Zurigo. Ognuno ha le sue priorità.
Con questa decisione Clariant trasferisce la produzione di coloranti e altre specialità per il settore tessile da Muttenz in Asia e quella di componenti chimici per l'industria della carta a Prat, in Spagna. Il ragionamento di Clariant è semplice: non ha senso produrre i coloranti a Muttenz, per poi mandarli nelle fabbriche tessili in Asia. Per la regione di Basilea è il secondo grosso shock inferto da Clariant in pochi mesi: lo scorso 19 novembre aveva annunciato la chiusura del sito di Hüningen, situato in Francia ma ad appena 100 metri dal confine con la Svizzera. Lì i posti di lavoro cancellati sono 262. In poco più di un anno, da quando Kottmann ne ha preso le redini, Clariant ha cancellato 3 mila 800 posti di lavoro, di cui 630 in Svizzera (cfr. tabella a lato). E Kottmann assicura: la cura di cavallo non è ancora terminata.
In realtà Clariant è una società che non sta poi così male. Kottmann giustifica i nuovi tagli con una perdita netta nel 2009 di 194 milioni di franchi. La perdita operativa tuttavia è stata di soli 20 milioni, mentre nel 2008, prima che l'industria fosse investita in pieno dalla crisi, si registrò un utile operativo di 229 milioni di franchi. E del resto, se davvero Clariant andasse così male, come si giustifcherebbero i bonus da record (cfr. articolo sotto) incassati lo scorso anno dallo Stesso Kottmann e dal management dell'impresa? Il dubbio è che Kottmann stia pensando di dissanguare Clariant succhiandole la massima redditività possibile, oppure che la smembri per infine venderla.
Ben si capisce dunque la profonda frustrazione delle maestranze della sede di Muttenz. Studer rileva che «Clariant a Muttenz ha sempre generato una buona liquidità. Per questo è sempre stato possibile pagare dei buoni stipendi». I problemi per Clariant sono nati con le acquisizioni sbagliate per complessivi 2,6 miliardi di franchi della tedesca Höchst nel 1997 e dell'inglese Btp nel 2000, che era sull'orlo della bancarotta. Per salvarsi a sua volta dal fallimento Clariant negli anni seguenti ha dovuto operare una serie di ristrutturazioni, che hanno portato il personale dai 31 mila dipendenti del '97 ai 16 mila di oggi. E che le hanno impedito di puntare come avrebbe dovuto su prodotti innovativi. Invece si è continuamente cambiato strategia. «Clariant non ha bisogno di essere risanata. Clariant ha bisogno di essere diretta seriamente», sintetizza Studer. Cosa difficile da fare se, nei suoi 15 anni di vita, Clariant ha avuto un turnover impressionante ai vertici: Kottmann è l'ottavo Ceo della società.
La speranza ora è che sul sedime che rimarrà inutilizzato della Clariant a Muttenz possa prendere forma e poi avviarsi con successo un nuovo parco tecnologico. Già oggi vi si sono insediate alcune attività produttive della Bayer e della Pangas. «Sappiamo che chi si occupa del parco tecnologico alla direzione dell'economia cantonale e alla Clariant lo fa seriamente. Perché è gente della regione», commenta Studer. Che aggiunge: «Il problema è quando si sarà pronti: si farà in tempo a riassorbire i 400 disoccupati di Clariant e a non disperderne le competenze?». Studer e il sindacato Unia hanno già avanzato anche altre proposte, sulle quali però le autorità politiche di Basilea Campagna non sono mai entrate nel merito. Un'idea è quella di impiegare le maestranze altamente specializzate di Clariant nel risanamento della discarica di prodotti chimici di Bonfol, nel vicino canton Giura. Ma non succede nulla. «Il cantone», dice Studer, «non ha nessuna politica di sostegno e di promozione del sito industriale di Muttenz. E questo ci delude molto».
Ora però c'è da pensare all'immediato. Alla Clariant c'è già un piano sociale, elaborato nel 2007 dalla direzione con gli Impiegati svizzeri, ma senza la commissione del personale e senza Unia. È un piano molto lacunoso. La direzione non ha accettato né che esso sia gestito in maniera paritetica né che si prevedesse la protezione dal licenziamento per i collaboratori di oltre 55 anni. «Eppoi non è che con un'indennità di partenza si possa pensare di aver regolato tutto. All'annuncio dei licenziamenti ci sono state scene drammatiche. Molti collaboratori sono scoppiati in lacrime. Per questo siamo disposti a batterci, a lottare per il nostro posto di lavoro. Il signor Kottmann può portarci via il nostro lavoro, ma non può toglierci l'orgoglio e la dignità», dice Studer. I circa 100 partecipanti alle prime assemblee del personale organizzate a Muttenz dopo l'annuncio dei licenziamenti hanno indetto come prima misura di lotta per l'11 marzo una manifestazione di fronte alla sede del governo cantonale a Liestal.

Per saperne di più
www.netzwerkit.de/clariant



Un chiodo fisso in testa, la borsa

Dice che la sua azienda, la Clariant, è in grosse difficoltà. Che non è in grado di competere con le altre grandi multinazionali della chimica. Per questo a malincuore è costretto a licenziare. E per farlo si guadagna la bella somma di 4,3 milioni all'anno. Lui è Hariolf Kottmann, l'ottavo Ceo nella storia di Clariant da quando la società, 15 anni fa, è nata da uno scorporo dalla Sandoz. Il 16 febbraio Kottmann non ha avuto il tempo di annunciare agli operai di Muttenz che ne avrebbe licenziati 400 di loro: doveva essere alla Borsa di Zurigo, a fare l'annuncio. Perché la borsa, e solo lei, è il termometro con cui Kottmann misura lo stato di salute di Clariant. Che da quando, con il suo arrivo, ha ripreso a licenziare in grande stile, ha visto triplicarsi il valore delle sue azioni.
54 anni, di formazione chimico, il tedesco Kottmann è arrivato alla Clariant il 1° ottobre 2008, proveniente dai quadri della Sgl Carbon, multinazionale con sede a Wiesbaden in Germania. Ha preso il posto di Jan Secher, che alla testa di Clariant si accontentava di uno stipendio di 2,5 milioni di franchi. Intervistato dalla Basler Zeitung all'indomani dell'annuncio dei nuovi licenziamenti a Muttenz, Kottmann ha spiegato che i 4,3 milioni sono costituiti da «salario di base e bonus», e corrisponderebbero alla «media nel confronto fra le diverse industrie». Non solo, lo scorso anno Kottmann s'è pure intascato un versamento una tantum di 3,4 milioni di franchi, come compensazione, dice, di quanto ha perso lasciando la Sgl Carbon. Ma Kottmann non è l'unico ad approfittare del self service di Clariant: nel 2009 i salari del topmanagement della società sono passati da 12,6 a 22,6 milioni di franchi. Si licenzia e si incassano i bonus: la crisi finanziaria sembra non aver insegnato nulla.
Al momento della sua nomina Kottmann promise l'accelerazione delle misure di ristrutturazione. È stato di parola. In poco più di un anno ha cancellato in fasi successive quasi 4 mila posti di lavoro, di cui 630 in Svizzera (cfr. tabella in alto). Quando annunciò i primi 150 tagli in Svizzera disse che essi dovevano servire a «dare una scossa» al personale: colpirne 150 per educarne 1'500. La sua conduzione di Clariant è tutta concentrata sui numeri-chiave: quelli che determinano l'andamento delle azioni in borsa, non quelli che descrivono la capacità produttiva di Clariant. Così Kottmann sostiene che il radicale taglio di posti di lavoro sarebbe necessario in quanto «in un lotto di 20-25 concorrenti, Clariant si trova sempre nel terzo più basso tenuto conto dei più importanti criteri comparativi».
Eppure così male le cose non vanno, se all'assemblea generale di Clariant dello scorso anno potè annunciare che «nel 2008 la redditività del capitale investito è passata dal 7,8 al 9 per cento». E aggiunse: «il bilancio della nostra impresa continua ad essere molto sano. Disponiamo di sufficiente liquidità e non abbiamo la necessità di rifinanziarci. È un'ottima situazione in un periodo in cui è molto difficile ottenere crediti». Ma Kottmann è ambizioso, e cinicamente aggiunse di voler sfruttare la crisi come un'opportunità «per guadagnare posizioni nella classifica della lega della chimica. Sono venuto qui per risolvere il problema principale di Clariant: ridurre il ritardo dai concorrenti». Un ritardo che Kottmann misura con l'indice Ebitda, un indicatore che confronta le diverse imprese sulla base della loro redditività. Un criterio puramente finanziario, che nulla dice sulla salute di un'impresa, ma che è diventato decisivo in borsa a partire dagli anni '90. Usandolo come criterio di conduzione di un'impresa si sposta l'attenzione dall'economia reale, quella dei prodotti da realizzare e da vendere, a quella puramente finanziaria.
Del resto, che Kottmann sappia muoversi bene in borsa lo ha dimostrato nell'estate del 2008, quando vendette un pacchetto di azioni della Sgl Carbon, ditta per la quale ancora lavorava, al massimo del loro corso a 42.22, appena prima del tracollo dovuto alla crisi finanziaria. Azioni che aveva acquistato poco più di un anno prima al corso di 23.86. Inoltre, anche se chimico di formazione, Kottmann fra gli squali della finanza ci si trova a meraviglia: è membro del consiglio di vigilanza della Deutsche Beteiligung Ag, una società d'investimenti fra le più spietate in circolazione. Meno bene si trova al cospetto dei sindacati. In una circolare alle «care collaboratrici e cari collaboratori» della sede centrale di Muttenz diffusa il 18 febbraio, due giorni dopo l'annuncio degli ultimi licenziamenti, egli invita il personale «a non lasciarsi distrarre da gruppi d'interesse motivati politicamente». Si riferisce al sindacato Unia, che quel giorno ha tenuto quattro assemblee con i lavoratori.

Pubblicato il

05.03.2010 02:00
Gianfranco Helbling
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