Cinque centesimi

Hilda fa la guardia giurata in un’impresa privata a San Francisco. Per far quadrare i conti un lavoro non le basta. Allora ne ha preso un altro a tempo parziale. Maria ha un posto a tempo pieno, ma per mangiare bussa regolarmente alla porta della parrocchia. Cora è una signora di mezza età. All’aeroporto della metropoli californiana accompagna gli invalidi sulle sedie a rotelle. Guadagna 5,75 dollari all’ora. Ha un salario annuo di 12 mila dollari e non riesce a pagare l’affitto di un monolocale. Sono storie di ordinaria povertà. Storie che riempiono raramente le pagine dei giornali americani. Anche perché quello che interessa all’americano medio dei ricchi sobborghi delle metropoli è piuttosto il listino della borsa. Resta il fatto che negli Stati Uniti milioni di persone lavorano per salari da fame. Secondo l’"Economic Policy Institut", centro studi specializzato in temi sul lavoro, per mantenere dignitosamente una famiglia composta da un adulto e due figli si devono guadagnare mediamente 30 mila dollari all’anno, vale a dire 14 dollari all’ora. Il problema è che circa il 60 % dei lavoratori e delle lavoratrici americane guadagnano meno di 14 dollari all’ora. Milioni di persone, soprattutto donne, devono accontentarsi del salario minimo legale. Da due anni è fermo a 5,15 dollari all’ora. Si parla di aumentarlo di un dollaro e mezzo, ma da quando Bush è andato al governo i progetti sono finiti nei cassetti più profondi. Le cose potrebbero cambiare adesso che i democratici hanno di nuovo il controllo del senato e possono decidere di rimettere il tema all’ordine del giorno del parlamento. A percepire il salario minimo sono soprattutto i giovanissimi e le donne. Si calcola che un aumento di un dollaro del salario minimo migliorerebbe le entrate settimanali di sette milioni di lavoratrici (il 12% della forza lavoro femminile). Molte sono sole, talvolta avanti con gli anni. Altre hanno figli a carico. Come vivono? O meglio, dove vivono e cosa mangiano? Per saperlo con certezza non resta che mettersi nei loro panni, si è detta Barbara Ehrenreich, una scrittrice impegnata americana con figli ormai adulti. Per tre mesi ha chiuso la casa in Florida e se ne è andata peregrinando per l’America a lavorare e a vivere con un salario di 6-7 dollari all’ora. La sua esperienza è racchiusa in un libro ("Nikel und dimed" — letteralmente "cinque e dieci centesimi") che sta riscuotendo un notevole interesse negli Stati Uniti. Racconta la storia di americane che vivono ai margini della società, di donne che cercano come possono di far quadrare i conti. Il primo grosso problema da risolvere per chi sbarca in una nuova città è di trovare un alloggio a buon mercato. Non è facile. Per poter affittare un appartamento bisogna avere dei soldi da parte. Gail, la collega che Barbara conosce lavorando come cameriera in un modesto ristorante di una cittadina della Florida dove la paga è di 2,43 dollari all’ora più le mance, vive in una pensione di infimo ordine pagando 250 dollari la settimana. Vorrebbe cambiare, ma "dove vuoi che trovi i soldi per un mese di affitto e un mese di caparra?" le confessa in un momento di confidenza. Billy, un altro collega che guadagna 10 dollari all’ora, si è comprato una roulotte. Alla fine del mese deve solo pagare l’affitto del terreno che occupa. Juan vive in un van parcheggiato dietro un centro commerciale e quando deve lavarsi va nella stanza del motel dove vive un’altra collega insieme a suo marito. Barbara, dopo lunghe ricerche, alla fine opta anche lei per una roulotte in un insediamento poco lontano dal luogo dove lavora. Non esistono statistiche ufficiali su quanta gente negli Stati Uniti vive in auto o van, ma secondo uno studio realizzato nel 1997 in 29 città americane dall’associazione nazionale dei senzatetto, circa un quinto dei senzatetto sono persone che lavorano a tempo pieno o a tempo parziale. Se si vive in una stanza spesso non si può cucinare a allora si finisce col mangiare nei fast food e a scaldarsi i cibi negli apparecchi a microonde dei supermercati. Barbara si rende ben presto conto che la paga di cameriera non basta per pagare affitto, assicurazioni sociali, tasse e cibo. Allora decide, come fanno molte altre donne sole nella sua condizione, di prendere un secondo lavoro. Comincia alle otto del mattino e se ne torna a casa alle 10 di sera, dopo aver servito colazioni, pranzi e cene in due diversi ristoranti della città. Il doppio lavoro non è una rarità. Nel 1996 lo facevano 7,8 milioni di americani, pari al 6,2 % della forza lavoro. Il secondo lavoro in genere è a tempo parziale, ma un’eroica minoranza (il 4% di uomini e il 2 % di donne) esercita simultaneamente due lavori a tempo pieno. Dalla Florida, Barbara si è poi spostata a Portland, nel Maine, uno stato dove una donna bianca sola non più giovane in cerca di lavoro passa inosservata. Qui trova lavoro in un’impresa di pulizie. In questo caso, dopo mille difficoltà, prende una stanza con cucinotto in un motel e paga 120 dollari la settimana perché siamo in bassa stagione. Di meglio non riesce a trovare. Anche in questo caso opta per il doppio lavoro. Durante la settimana pulisce lussuose case borghesi per 6,65 dollari all’ora (il datore di lavoro ne incassa 25) e il fine settimana distribuisce pasti in una mensa per malati cronici per sette dollari l’ora. Fare le pulizie si rivela subito un lavoro faticoso e logorante. Passare per ore l’aspirapolvere o pulire in ginocchio pavimenti fa parte delle sue mansioni quotidiane. I detersivi o forse i guanti provocano subito una fastidiosa irritazione alla pelle. Le donne con le quali lavora non si lamentano neanche quando hanno mal di schiena o si slogano una caviglia e si aiutano a vicenda se qualcuna sta male perché tutte hanno bisogno di lavorare. Nell’orario di lavoro è prevista una pausa di mezz’ora, ma molto spesso si riduce solo a pochi minuti. Facendo le pulizie si consumano energie, ma non tutte le colleghe mangiano abbastanza. Rosalie, una giovane ragazza, si limita a sgranocchiare patatine e in tasca non ha neppure i soldi per comprarsi una bibita. "Beh, qualche volta mi gira la testa" ammette a Barbare che le chiede come fa. Anche Holly, una giovane ragazza di 23 anni, che deve provvedere a sé, al marito e ad un anziano parente, mangia solo panini imbottiti di burro di arachidi. In auto, durante il viaggio tra una casa e l’altra, Holly vuole sapere solo una cosa: "Che cosa hai mangiato ieri sera a cena Marge?". Marge è l’unica del gruppo che grazie ad un marito che lavora può permettersi ogni tanto di andare fuori a cena o di preparare qualche manicaretto. Per l’ultima tappa, Barbara sceglie il Minnesota, uno stato con una buona rete sociale. Come nelle due esperienze precedenti, anche qui Barbara bussa a varie porte prima di ottenere un impiego come commessa in una catena di grandi magazzini per 7 dollari l’ora. Anche questa volta si sottopone a test attitudinali, a colloqui personali e naturalmente all’immancabile test sul tasso di droga presente nel sangue. Questo test è molto frequente negli Stati Uniti. Oggi è richiesto dall’81 % dei grandi datori di lavoro, contro il 21% del 1987. Questi test permettono di individuare la mariuana, la droga meno pericolosa, anche tre settimane dopo il consumo, ma passa inosservato il consumo di eroina e cocaina se è avvenuto tre giorni prima dell’esame. Che serva è discutibile. È invece un buon affari per l’industria che produce questi test. Il fatturato annuo è valutato a circa 2 miliardi di dollari. Nel 1990, solo il governo federale ha effettuato circa 29 mila test. Ha speso 11,7 milioni di dollari. I casi positivi sono stati 153 e sono costati quindi 77 mila dollari l’uno, sottolinea Barbara in una nota del libro. Prima dell’assunzione deve sorbirsi un video di 12 minuti dove di fatto si esalta il clima sul posto di lavoro e si arriva alla conclusione che non c’è bisogno dei sindacati. Pensa a cosa perderesti aderendo ad un sindacato: prima di tutto i contributi che possono ammontare a 20 dollari e più al mese. Poi "perdi la tua voce" perché i sindacati vorranno parlare per te e rischi anche di perdere la paga perché "al tavolo delle trattative tutto è in discussione". È in sintesi il messaggio del filmato. "Quando entri nel mondo del lavoro a basso salario appendi le tue libertà civili alla porta e impari a chiudere la tua bocca", rileva l’autrice commentando la sua esperienza. Anche qui c’è la disperata ricerca di un alloggio. Barbara si rivolge all’assistenza sociale, per avere qualche indirizzo, ma l’unica cosa che riesce ad ottenere è un pacco pieno di cibi con troppe calorie. Come meravigliarsi se poi molti poveri sono obesi, se la loro alternativa è tra fast food e cibi super grassi o troppo dolci. L’America, insomma, non è opulenza per tutti. Anche qui la schiera dei "working poor", vale a dire delle persone che non guadagnano abbastanza per vivere dignitosamente, è lunga. Col loro lavoro di fatto mantengono gli altri nel lusso. "I working poor sono di fatto la maggiore società filantropica. Trascurano i loro figli per curare i figli degli altri, fanno rinunce per tenere sotto controllo l’inflazione e alti i corsi delle azioni". O come dice Gail, la cameriera della Florida, "tu dai e dai e loro prendono". Questi anonimi benefattori un giorno o l’altro si ribelleranno e chiederanno di essere pagato per quello che valgono, si augura l’autrice concludendo il suo libro. Ma quel giorno non sembra vicino.

Pubblicato il

15.06.2001 03:30
Anna Luisa Ferro Mäder
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