Sindacato

Cinque Paesi, una sola preoccupazione: proteggere i salari

La battaglia dei sindacati svizzeri per la tutela dei salari e il rafforzamento delle misure di accompagnamento nel quadro dei negoziati con l’UE è sostenuta dalle organizzazioni europee. Se ne è parlato in una conferenza a Bienne

Per la Presidente di Unia Vania Alleva, una cosa è chiara: «Dobbiamo proteggere i salari, non le frontiere». Lo ha detto chiaramente intervenendo sbato scorso a Bienne alla Conferenza di Unia sul dumping salariale e sociale e sulla lotta sindacale in Svizzera e nell’UE, alla quale ha partecipato una sessantina di persone. Negli attuali negoziati con l’UE, la posizione dei sindacati è cristallina: sì agli accordi con l’UE, ma solo se viene rispettato il principio della parità di retribuzione a parità di lavoro nello stesso luogo.

 

Una breve rievocazione: nel 2018 i sindacati sono riusciti a bloccare l’Accordo quadro istituzionale che era stato negoziato per sette anni e che avrebbe distrutto la protezione dei salari svizzeri. E per questa stesssa ragione avanzano critiche all’attuale nuovo mandato negoziale, che non garantisce la protezione dei salari. I sindacati europei sostengono quelli svizzeri nella loro lotta contro il dumping sociale.

 

Condizioni disumane nei trasporti in Germania

L’Austria supera la Germania e la Francia per quanto riguarda il numero di distaccati, cioè quei lavoratori dipendenti che un’azienda invia da uno Stato membro dell’UE in un altro paese a lavorare per l’azienda stessa. Albert Scheiblauer del sindacato Edilizia e legno in Austria sostiene che l’elevato numero di lavoratori distaccati in Austria è dovuto anche ai bassi salari minimi in vigore nei Paesi vicini come Slovenia, Ungheria e Polonia. Il problema principale per questi lavoratori, la maggior parte dei quali lavora nell’edilizia, è che gli straordinari, i bonus, le spese e le indennità speciali non vengono pagati o vengono pagati in modo non corretto. E la maggior parte nemmeno rivendica i propri diritti. «Molti non sanno a cosa hanno diritto», spiega Scheiblauer. In Slovenia, per esempio, si assiste spesso a misure di rappresaglia e persino a minacce di morte quando i lavoratori si difendono.

 

Anche Stefan Thyroke, del sindacato tedesco Verdi, conosce le minacce. Parla di «condizioni disumane» in particolare nel sistema dei trasporti. Riferisce dell’azienda di trasporti Mazur, che ha minacciato gli autotrasportatori in sciopero a Gräfenhausen con una squadra di teppisti in autoblindo. «L’industria è marcia. Dobbiamo fare in modo che le aziende tornino a considerare gli autisti come persone e non solo come dipendenti», afferma. I controlli rivelano problemi con la maggior parte degli autisti. È il caso, ad esempio, di un autista che Thyroke ha incontrato vicino a Madrid. Ha spiegato che veniva pagato in base al numero di chilometri percorsi. Ciò significa: meno pause, più soldi. L’autista sapeva che era illegale, ma il suo capo gli aveva promesso che in cambio avrebbe potuto stare a casa con la sua famiglia nei fine settimana. «Questo crea dipendenza», dice  il sindacalista tedesco indicando la mancanza di un contratto collettivo di lavoro di forza obbligatoria nella logistica come il problema principale. «Se un autista parte dalla Polonia, il salario minimo polacco si applica per tutto il viaggio, indipendentemente dal Paese in cui si trova», spiega Thyroke. E poi c’è il punto dolente della cessione degli ordini, che porta a un “modello di business” in cui un fornitore guadagna solo passando l’ordine al successivo operatore più economico.

 

La migrazione è un diritto umano

Boris Plazzi, del sindacato francese CGT, alla luce dello slittamento a destra del suo paese, si appella dal canto suo all’unità e alla solidarietà dei lavoratori. Perché anche tra i lavoratori vicini alla CGT, il 25% ha votato per l’estrema destra. Per Plazzi è quindi chiaro che i sindacati devono occuparsi d’integrazione europea: «Siamo europei, ma l’UE non è un progetto sociale!». Plazzi chiede più controlli, il divieto di contratti a cascata e una maggiore cooperazione sindacale oltre i confini nazionali.

 

Più o meno allo stesso modo la vede Tea Jarc della Confederazione europea dei sindacati CES (qui una sua recente intervista). «La migrazione è un diritto umano. Dobbiamo garantire che tutte le persone possano lavorare in condizioni dignitose». A suo avviso, la nuova direttiva UE sui salari minimi rappresenta un’importante leva contro il dumping sociale. Ciò imporrebbe alle aziende di competere tra loro sulla base della produttività, della qualità e dell’innovazione piuttosto che del costo del lavoro. Un aspetto particolarmente importante per la Svizzera, con i suoi salari comparativamente molto alti. La CES esige anche una regolamentazione più severa dei subappalti, perché è chiaro che più lunga è la catena, peggiori sono le condizioni di lavoro. «I lavoratori spesso non sanno a quale azienda possono rivolgersi. Ma hanno il diritto di sapere dove possono far valere i loro diritti», sottolinea Tea Jarc.

 

Lo stato dei negoziati

Bruna Campanello (Unia): «Restano significativi punti negativi»

 

Bruna Campanello, membro del Comitato direttore di Unia, sottolinea che i salari medi in Svizzera sono tre volte superiori a quelli dell’UE. Per questo motivo, in Svizzera sono necessarie misure di protezione più forti che nell’UE. Non solo per gli svizzeri, ma per tutti i lavoratori. E fa il punto sullo stato dei negoziati con la Commissione europea: considera piuttosto positivo che sia stato accettato il sistema di controllo del mercato del lavoro da parte delle commissioni paritetiche. Commissioni che possono, in un quadro di proporzionalità, determinare autonomamente la densità dei controlli. Esiste inoltre una “clausola di non regressione”, secondo cui la Svizzera non dovrà in futuro accettare un peggioramento significativo dei diritti dei lavoratori.

Tuttavia, ci sono punti negativi significativi:

  • Punto dolente è quello dei rimborsi spese in base al Paese d’origine, che può portare i  lavoratori distaccati  a perdere da 1.000 a 3.000 franchi.
  • C’è poi l’adozione della direttiva UE sul lavoro distaccato: le misure devono sempre essere “proporzionate” e il significato di questo termine è spesso deciso dalla Corte di giustizia europea (CGE), tendenzialmente favorevole ai padroni. Non c’è dunque certezza che le sanzioni continueranno a essere accettate così come sono.
  • Altri chiari peggioramenti riguardano i termini di preavviso (4 giorni lavorativi invece di 8 giorni di calendario), la cauzione in caso di recidiva e il divieto di offrire servizi pronunciati dai Cantoni.


Articolo originale apparso su workzeitung.ch, traduzione e adattamento Claudio Carrer


FOTO: Lucas Dubuis

Pubblicato il

03.07.2024 18:13
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