In merito alla polemica emersa negli scorsi giorni e relativa ad un articolo-intervista del poeta Fabio Pusterla apparso sul giornale «La Regione» di sabato 10 novembre, che esprimeva delle considerazioni sul concetto di città culturale, e alcune critiche sull’operato culturale della città di Lugano, mi è parso necessario fare alcune riflessioni. Come spesso accade, tra la versione delle parole espresse e il come le stesse, invece, vengono recepite, possono insorgere dei fraintendimenti. È facile, però, quando ci si china su argomenti così complessi – che comprendono nella loro essenza una miriade di letture e punti di vista, addirittura diverse visioni del mondo – che le parole vengano fraintese e che i diretti interessati, da una parte e dall’altra, si scontrino. Diventa quasi impossibile capirsi, quando le suggestioni delle parole e dei gesti vagano nello spazio delle esternazioni personali, quando il contesto in cui si esprimono delle considerazioni è del tutto inesistente. Le proposte sul tappeto Lo stato delle cose ci porta a pensare che la scena culturale luganese e cantonale, e le stesse istituzioni che si occupano delle attività del settore, avrebbero bisogno di un forum, di un dibattito costruttivo, per fare chiarezza su cosa sia oggi la cultura e in quale direzione si stanno muovendo le politiche culturali dei comuni, dei municipi e delle istituzioni nazionali ed internazionali. Secondo Fabio Pusterla una buona fetta della Lugano contemporanea è probabilmente convinta, soltanto illusoriamente, di rappresentare una vera città di cultura. Come provocazione verso se stesso e verso la realtà della Lugano contemporanea, il poeta Pusterla ha pensato, ed è nei suoi diritti-doveri di uomo di cultura, di mettere in dubbio le certezze che attribuiamo alla parola cultura, aprendo un dibattito che la società e le istituzioni della città, in questo momento storico, non dovrebbero abbandonare nel silenzio. Pusterla sostiene che esistono due scelte culturali incomunicabili che sono da una parte le ricche manifestazioni, gli eventi che attraggono un gran numero di visitatori, una «cultura» che si misura con il metro dei biglietti venduti ai baracchini, e dall’altra una cultura che, in contrapposizione con questo modo di procedere, alimenta dibattito, confronto e scambio di idee. Queste considerazioni dovrebbero essere in primo luogo fatte proprie dalle stesse istituzioni che operano nel settore culturale. Il problema della cattiva interpretazione e dell’incomprensione non può diventare, ogni volta che si mette in atto un tentativo di dibattito, un ostacolo insormontabile. Bisogna aggiungere alla visione di Pusterla che nell’attuale «città culturale», l’insieme di queste manifestazioni sociali vengono oggigiorno trattate con la stessa considerazione delle altre aziende municipalizzate, e la cultura non necessariamente entra in contrapposizione con l’istituzionalizzazione economica, con le grandi mostre, con le grandi attività musicali e teatrali, con i concerti monetizzabili. Il rapporto armonico tra cultura e istituzioni viene raggiunto quando vengono fatte le scelte giuste, riconosciute a livello internazionale, con eventi che centrano il bersaglio tematico del dibattito culturale, quando la città in questione promuove ed è promossa nel sistema della comunicazione internazionale. L’attuale azienda culturale della città di Lugano esprime degli investimenti di tutto rispetto, ma sono sempre e ancora considerati delle voci in perdita. Il suo bilancio annuale tocca i 6 milioni di franchi, spesi onestamente ma utilizza, questo è vero, dei parametri più legati alla spontaneità creativa che ad un linguaggio culturale vero e proprio e questo indipendentemente dal tipo di scelta del messaggio comunicativo proposto. Nel 1999 le spese hanno superato i 6 milioni di franchi e i ricavi hanno raggiunto i 2 milioni e mezzo. Nel 2000 le spese hanno toccato i 6 milioni e i ricavi sono scesi a 1 milione e mezzo. Da qualche anno a questa parte nelle città culturalmente più attive, la musica è cambiata, le aziende culturali non sono più voci in perdita, le ristrutturazioni di queste attività, gestite come un’impresa, sono riuscite anche a monetizzare e a rivalutare l’azienda cultura con notevoli attivi e riscontri turistici e di immagine. Confrontare le idee A Lugano la via da percorrere, a mio parere, dovrebbe essere quella della promozione di un congresso, un forum democratico – perché non chiamarlo «La città culturale» – aperto alla partecipazione, all’idea più ampia di cultura, nel suo rapporto con le istituzioni municipali, per creare una rete di contatti con il mondo degli assessorati alla cultura o delle commissioni culturali di vari municipi europei, insieme ad intellettuali, artisti ed esperti, per passare poi ad una ristrutturazione-riconversione dell’azienda culturale stessa. Si tratta quindi, fondamentalmente, di una questione di scelte al passo con i tempi, intelligenti e coraggiose, senza pregiudizi ideologici, in grado di superare le vecchie formule spontaneistiche, per inaugurare una nuova ed oculata politica dell’economia della cultura, per scongiurare chi sostiene purtroppo e troppo spesso – al di là e al di qua della frontiera – che tra la città di Lugano e le attività culturali ed artistiche non c’è feeling. Esemplare e vincente, invece, l’esperienza messa in atto dal municipio di Chiasso. Tredici anni fa è stato costituito un ufficio culturale – che ha pure ricevuto il riconoscimento da parte della Confederazione – tra i cui obiettivi vi è anche quello di stare al passo del millennio che avanza. Eppure il bilancio delle attività culturali di Chiasso, in generale, non supera i 900 mila franchi. Lugano dovrebbe quindi fare sei volte meglio di Chiasso, se si trattasse solo di soldi; e ancora 3 volte meglio di Varese, 4 volte meglio di Como, e il 30 per cento di quello che fanno città come Milano o Roma.

Pubblicato il 

30.11.01

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