Gentile signora Masoni,
questa settimana la Commissione della gestione del Gran consiglio ticinese ha avuto la conferma di quanto area da tempo scriveva: il fisco negli ultimi anni è stato ridotto ad un colabrodo. Come avevamo denunciato già lo scorso inverno (in particolare il 10 e il 17 febbraio) alla Divisione delle contribuzioni manca tanto, troppo personale e il sistema informatico che le è stato dato in dotazione fa acqua da tutte le parti. Conseguenza: al fisco, dunque allo Stato, quindi ai cittadini in questi anni sono sfuggiti tanti, troppi milioni. Così, mentre lei abbassava le imposte in particolare dei redditi più elevati (passi, può essere una scelta politica) e poi obbligava tutti, e in particolare i più bisognosi, a continui sacrifici per risparmiare quei soldi che non entravano più (e passi già meno: non si corregge un errore con un altro errore), mentre dunque lei applicava con tutto il rigore possibile la sua già di per sé odiosa politica del meno Stato, ecco che di nascosto lei a quello stesso Stato sottraeva ancora più soldi, sabotandolo. E questo in barba alla promessa solenne da lei prestata di servirlo lealmente, lo Stato.
Lei, signora Masoni, ha sempre sottolineato che lo Stato ha molto da imparare dal privato, soprattutto quanto ad efficienza. La tesi alla base di questo assunto, mai veramente verificata, è che nel privato si rischia del proprio, nel pubblico invece in ballo ci sarebbero i soldi di tutti, cioè di nessuno. Il corollario di questa tesi è che il privato non può tollerare e non tollera sacche di inefficienza: chi non fa gli interessi dell'azienda viene licenziato. È pur vero che nel capitalismo selvaggio di questi anni tale tesi vale soltanto fino ad un certo livello della gerarchia: più su non fare gli interessi della ditta può anche essere un titolo di merito per gli squali della nuova economia. Ma vogliamo credere che da suo padre, fervido ammiratore di Carlo Cattaneo, abbia ereditato una concezione assai più etica dello Stato.
Se così è, signora Masoni, faccia finalmente un atto di buon governo: si licenzi. Perché delle due l'una: o la situazione alla Divisione delle contribuzioni le è completamente sfuggita di mano senza che lei se ne accorgesse, e quindi lei non è in grado di svolgere il lavoro di consigliera di Stato; oppure lei ha deliberatamente lasciato che le cose degenerassero, ponendosi contro la legge (che esige il prelievo di tutte le imposte dovute in base ad un tasso deciso democraticamente) e compromettendo il rapporto di fiducia che la lega al suo datore di lavoro, cioè i cittadini. Fossimo nel privato, nel primo caso verrebbe licenziata con preavviso di tre mesi, nel secondo in tronco. Lei sostiene, non senza qualche ragione, che per la questione, più che altro di opportunità, della Fondazione Villalta non se ne dovrebbe andare. Ma la sua pessima gestione della Divisione delle contribuzioni è affare ben più serio, perché sta al cuore del mandato che 12 anni fa ha ottenuto dai cittadini ticinesi e che ora vorrebbe le venisse rinnovato: alla luce di un bilancio sconsolante.
Ci pensi, signora Masoni. Volendo rimanere pervicacemente inchiodata dov'è non fa l'interesse dei ticinesi. Ma nemmeno i suoi. Anzi. C'è chi in passato l'ha capito, se n'è andato al momento giusto e oggi è uno degli squali più temuti della nuova economia. Passi uno di questi giorni da Tito Tettamanti, le spiegherà.

Pubblicato il 

08.09.06

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