Chi fa gli interessi di chi? Quando un cittadino è chiamato ad esprimere un’opinione su un qualsiasi tema che lo riguarda farebbe bene a porsi sempre questa domanda, solo apparentemente banale. Lo faccia soprattutto chi deve ancora recarsi alle urne questo fine settimana per esprimersi su questioni centrali e vitali come il futuro delle previdenza per la vecchiaia e (per quanto riguarda il Ticino) la lotta al dumping salariale. L’intensa campagna cui abbiamo assistito nelle scorse settimane è una bella dimostrazione di come la destra (quella estrema così come quella incarnata dai partiti che si dicono di “centro”) e i poteri forti dell’economia tentino sistematicamente di ingannare i cittadini, di indurli a votare contro i loro stessi interessi. Proviamo a fare un paio di semplici ragionamenti e a porci alcuni interrogativi. Domandiamoci per esempio perché gli avversari dell’iniziativa dei sindacati AVSplus, che chiede un modesto aumento del 10 per cento delle pensioni (ferme da oltre 20 anni), dipingono scenari catastrofici in caso di accettazione e tentano di alimentare conflitti tra giovani e anziani arrivando addirittura a dipingere i beneficiari delle prestazioni Avs come dei maiali ingordi. La risposta è abbastanza semplice e sta nel loro progetto politico teso a smantellare ogni forma di socialità e a favorire un sistema basato su quella che chiamano “responsabilità individuale”, in cui ciascuno si arrangia con i mezzi che ha, per esempio, per quanto attiene alla pensione, pagando di tasca propria un’assicurazione privata. Cosa che evidentemente in pochi si possono permettere. È in questa logica –seppur non dichiarata, vista l’indiscussa popolarità dell’Avs – che rientrano le proposte del fronte borghese di innalzare a 67 anni l’età di pensionamento e di ridurre ulteriormente le prestazioni della previdenza professionale, così come il progetto di risparmi milionari sulle spalle dei beneficiari delle prestazioni complementari. Spostando lo sguardo sui temi, molto sensibili per il mondo del lavoro, in votazione in Ticino, ritroviamo uno schema simile. Tutti sostengono a parole la necessità di combattere il dilagante fenomeno del dumping salariale che sta trasformando il mercato del lavoro in una vera e propria giungla. Ma di fronte a proposte concrete, sostenibili e facilmente attuabili come quelle contenute nell’iniziativa “Basta con il dumping salariale in Ticino” cosa fanno Governo, Parlamento, partiti borghesi ed organizzazioni economiche? Innalzano un muro di gomma! Eppure l’iniziativa non chiede la luna, ma semplicemente l’obbligo di notificare all’ispettorato del lavoro tutti i contratti d’impiego che vengono sottoscritti in Ticino, l’allestimento di una statistica sui salari erogati nel cantone e un potenziamento dei controlli. L’introduzione di queste semplici misure tese a dissuadere i furbi e a creare le premesse per scovare e sanzionare le irregolarità «costerebbe troppo» e causerebbe un «eccessivo onere burocratico» e addirittura trasformerebbe il Ticino in una dittatura «come la Corea del Nord», si è spinto ad affermare il direttore dell’Associazione industrie ticinesi (Aiti) Stefano Modenini in una recente presa di posizione. Questi signori preferiscono gettare fumo negli occhi dei ticinesi sostenendo “soluzioni” di stampo xenofobo nello stile dell’altra iniziativa in votazione – demagogicamente intitolata “Prima i nostri” – o del suo controprogetto che ne riprende l’idea di fondo, cioè quella di dividere i salariati a seconda dell’origine nazionale o del luogo di residenza. Come se i responsabili del degrado fossero i frontalieri che accettano salari da fame e non gli imprenditori che tali salari li offrono per abbattere il costo del lavoro! In conclusione: è piuttosto chiaro chi fa gli interessi di chi.
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