«Ogni mese la Bce inietta 80 miliardi di euro nel circuito finanziario. Quei soldi dovrebbero essere versati sui conti dei cittadini quale riconoscimento del lavoro gratuito prestato». È una delle proposte alternative formulate da Christian Marazzi alla dittatura dell’economia dei lavoretti.
Di formazione economista, oggi professore universitario e docente alla Supsi, autore di numerosi libri e saggi, Marazzi nel campo della ricerca sociale in più occasioni ha saputo leggere le tendenze del presente anticipando le conseguenze future. La persona ideale per capire dove la società stia andando con la rivoluzione tecnologica e  quali soluzioni si potrebbero adottare.

Professor Marazzi, a Lodrino sarà costruita una nuova fabbrica dove lavoreranno tre amministrativi e tre operai che seguiranno le 16 linee robotizzate di produzione. È questo il futuro che ci aspetta?
È un futuro già presente. Tutti gli studi indicano il divenire algoritmico del capitalismo a breve. Un fenomeno che rischia di batterci sui tempi, pur tenendo presente l’imprevedibilità. Se è vero che l’arrivo di Trump negli Stati Uniti si tradurrà in una nuova era di protezionismo, di aumento dei tassi d’interesse e del debito pubblico, di investimenti infrastrutturali in ponti e strade, le proiezioni lineari previste dagli studi della soppressione d’impieghi dovuta alla rivoluzione tecnologica potrebbero subire una battuta d’arresto. Ma presto o tardi s’imporrà.


La nuova tecnologia derivante dall’uso dell’intelligenza artificiale colpisce tutte le professioni. A rischio non sono solo le tute blu delle fabbriche, ma anche i colletti bianchi del terziario.
Certo, l’innovazione tecnologica avrà conseguenze in tutti gli ambiti professionali. E non tarderà a farsi sentire da noi. Il capitalismo algoritmico è bifronte. Da una parte una forte innovazione tecnologica, dall’altra la proliferazione di lavoretti che hanno la caratteristica della proprietà dei mezzi di produzione. L’esempio sono gli autisti uberizzati, proprietari dell’auto e sfruttati dall’applicazione Uber. È una nuova modalità di sfruttamento, che apre un’ampia discussione sulla necessità di ri-regolamentare i rapporti di lavoro.


Come difendersi?
Il discorso sulla robotizzazione dipende da come lo si imposta. Se unicamente di resistenza, tipo neo-luddista, si rischia di perdere di vista tutto quanto sta succedendo e porsi solo sulla difensiva. Bisogna essere dentro questi processi e contro le derive che ne scaturiscono, progettando soluzioni nuove. I sindacati hanno sempre visto gli interinali come una minaccia all’istituto della rappresentanza sindacale. Eppure la forma di lavoro interinale faceva parte di un processo strutturale che andava capito. Oggi questo ritardo lo si paga col populismo, al quale molti precari si affidano in cerca di tutele e risposte mai arrivate. La resistenza sui diritti acquisiti è essenziale e va estesa ai nuovi modi di produzione della ricchezza.


Stiamo andando verso un società di freelance, in cui il singolo lavoratore sarà indipendente, ma rimarrà solo nella difesa dei suoi diritti. L’organizzazione dei lavoratori uniti per difendere i propri interessi sarà ancora più complicata.
Oggi in Svizzera il lavoro atipico sta esplodendo. Per evitare di accumulare ritardi come accaduto con gli interinali, il sindacato deve mettersi in discussione con altre forze sociali. Bisognerebbe formare una coalizione sociale che includa anche soggetti quali i lavoratori “indipendenti” e i piccoli proprietari di mezzi di produzione. I freelance non vogliono necessariamente diventare dei salariati, dei dipendenti. Vogliono garantirsi la possibilità di restare autonomi. Un esempio in questo senso arriva da New York. La Freelancers Union, che tutela i diritti di tutti i freelance in qualsiasi ambito lavorino, ha ottenuto la scorsa settimana una vittoria importante. Il Consiglio comunale newyorchese ha approvato all’unanimità il Freelance Isn’t Free Act (Essere freelance non significa lavorare gratis, ndr), in cui sono definiti tempi e modi di pagamento, nonché l’obbligatorietà di un contratto scritto. I potenziali interessati sono quattro milioni di lavoratori. Una coalizione sociale di questo tipo ha una valenza non corporativa, ma inclusiva dei vari soggetti sottoposti alle forme di lavoro emergenti.


In Svizzera, per legge, l’indipendente neanche volendo può pagare l’assicurazione disoccupazione. Se diventiamo tutti indipendenti, la disoccupazione sarà inutile. A rischio pure le pensioni, l’invalidità, l’intero sistema sociale del welfare basato sui versamenti contributivi del lavoro, o le tasse. Quali le alternative possibili?
Il fronte fiscale resta un ineludibile campo di battaglia. I colossi delle nuove tecnologie sono i campioni mondiali dell’evasione fiscale. Questi non potranno continuare ad accumulare ricchezze inimmaginabili senza doversi confrontare socialmente. Detto questo, c’è una novità emergente. Dal cliente-costruttore di Ikea, al cliente-cassiere dei supermercati, all’utente produttore di Google, vi è un’ingente mole di lavoro gratuito la cui produttività non è mai stata misurata né riconosciuta. Le donne sono state le prime a tematizzare il lavoro non riconosciuto nella sfera della riproduzione. Il discorso del reddito garantito non va dunque impostato sulla sola redistribuzione, ma anche sul riconoscimento del lavoro gratuito.


Come dunque riconoscere e pagare questo lavoro?
Le soluzioni possono essere innovative. Immaginate se la Banca centrale europea invece di iniettare quegli 80 miliardi di euro al mese nel mercato finanziario ingrassando le sole banche senza generare liquidità come preteso, destinasse una parte importante di quei miliardi al reddito di cittadinanza, versando direttamente sul conto dei cittadini europei quei soldi. Avrebbe non solo una funzione di stimolare consumi e dunque la crescita economica, ma il riconoscimento economico del lavoro gratuito ad alto tasso di produttività. Sono persino dell’opinione che il reddito di cittadinanza non deve essere sostitutivo dell’attuale socialità, ma ad essa aggiuntiva e in modo permanente.

Pubblicato il 

24.11.16