Lavoro

Chiude la LATI di Sant'Antonino: duro colpo per gli operai

L’amarezza del sindacalista di Unia Filippo Bonavena dopo vent’anni in azienda

La latteria centrale ticinese (LATI) di Sant’Antonino chiuderà i battenti a fine giugno. A qualche lavoratore degli attuali 21 dipendenti è stato garantito l’impiego al Caseificio di Airolo e alla Cetra di Mezzovico, mentre resta incerto il destino di una dozzina di lavoratori. Unia e azienda hanno aperto le trattative per definire il piano sociale. Ne parliamo con Filippo Bonavena, dipendente di lungo corso alla LATI, presidente della Commissione del personale e di Unia sezione Sopraceneri.

 

«Guardo mio figlio e capisco che una fase importante della mia vita si sta per chiudere». Filippo Bonavena ha trascorso ventidue anni, l’età di suo figlio, all’interno delle mura della centrale del latte ticinese. L’annunciata chiusura per fine giugno della LATI, per lui significa un grande cambiamento. Ha vissuto molte esperienze da quando entrò quasi per caso in quell’azienda, prima da autista della raccolta del latte, passando poi a magazziniere e infine approdato, ormai da più di un decennio, in produzione e imballaggi. «Alla LATI ho dato tanto, ma ho ricevuto altrettanto. Grazie al lavoro e salario, ho potuto costruire una famiglia e contrarre un mutuo per finanziare la casa di proprietà».
La chiusura della LATI annunciata pochi giorni fa dai vertici aziendali «fa male, tanto più che non ce lo aspettavamo» spiega Bonavena, che all’interno dell’azienda ricopre la figura di presidente della Commissione del personale.
Se per una parte dei 21 dipendenti il lavoro dovrebbe essere garantito alla Cetra di Mezzovico (6 dipendenti e un apprendista) e al Caseificio di Airolo (2 dipendenti e il secondo apprendista), a preoccupare Bonavena è il destino dei rimanenti lavoratori. «Al momento non sappiamo ancora chi tra di noi andrà ad Airolo o Mezzovico. Per chi sarà escluso dalla lista dei posti disponibili, i vertici hanno garantito che faranno il possibile per cercar loro un impiego, parlando ad esempio con i clienti più importanti». Se le cose non dovessero andare in porto per tutti, l’ultima possibilità per attenuare il danno della perdita del salario di chi rimarrà senza lavoro, sarà il piano sociale. Azienda e Unia sono già al lavoro per definire nel dettaglio il contenuto del piano sociale.


La base di partenza di piano sociale già esiste. Esattamente nel gennaio di cinque anni fa, l’allora vecchia dirigenza annunciò l’intenzione di depositare i bilanci aziendali, decretando così il fallimento della LATI. La fine della latteria centrale ticinese fu poi scongiurata dall’arrivo della Cooperativa dei produttori di latte della Svizzera centrale (Zmp) che acquisì la maggioranza delle azioni societarie.
«Cinque anni fa l’annuncio della chiusura ce l’aspettavamo. Una serie di scelte aziendali aveva portato ad un calo importante della produzione e ingenti perdite economiche, di cui anche noi dipendenti ci rendevamo conto» racconta Bonavena. «Oggi invece siamo stato colti un po’ di sorpresa. Che le cose non andassero benissimo, ne eravamo coscienti. Ma la nuova proprietà aveva investito nei macchinari ed erano molto presenti in azienda nel cercare di risolvere i problemi a cui eravamo confrontati. Non si può dire nulla sul loro impegno nel tentare di salvare la Lati in questi cinque anni. Probabilmente c’erano dei problemi finanziari di cui noi operai ignoravamo la gravità» conclude Bonavena.

 

LA CONQUISTA DEL PRIMO CCL
Tra le esperienze vissute da Bonavena all’interno della LATI c’è stato anche lo sciopero del 2012, dal quale le maestranze uscirono vittoriose conquistando il primo contratto collettivo dell’azienda. «La nuova direzione tentava di modificare l’allora regolamento aziendale, imponendo una serie di peggioramenti per noi dipendenti. Ci fu un importante lavoro di costruzione sindacale, finché compatto, il personale incrociò le braccia ottenendo l’apertura di una trattativa per definire un vero contratto collettivo di lavoro» ricorda Bonavena. «Le successive trattative furono lunghe ed estenuanti. Ad ogni tornata, la direzione rimetteva in discussione quanto stabilito alla riunione precedente, per cui bisognava ricominciare da capo». Coadiuvati da sindacalisti di Unia, alla fine si ottenne l’agognato CCL che stabiliva diritti e doveri in maniera chiara. Per Bonavena quell’avventura fu l’inizio di un passaggio da semplice iscritto al sindacato a un percorso di militanza attiva che lo ha portato oggi ad essere presidente della sezione sopracenerina di Unia. Il futuro professionale suo e dei suoi colleghi, rimane tutto da scrivere.

LA SCHEDA

SITUAZIONE ESPLOSIVA PER L’INTERA DEL LATTE TICINESE

La chiusura della LATI agita l’intero mondo agricolo ticinese. “La situazione è a dir poco esplosiva per tutta la filiera del latte ticinese” scrive il deputato Giovanni Berardi nell’interpellanza inoltrata al Consiglio di Stato, auspicando un sostegno finanziario temporaneo al settore. Il problema, ci spiega, è che «senza la possibilità di lavorare in loco la maggior parte del latte prodotto in Ticino, con gli alti costi di trasporto verso la Svizzera interna e il basso prezzo pagato per il latte non lavorato sarà ancor più difficile sopravvivere economicamente per molti agricoltori ticinesi produttori di latte, già oggi in grande difficoltà».
Dei 4,1 milioni di litri di latte attualmente lavorati negli stabilimenti LATI, per circa 1,6 milioni sarebbe assicurata la trasformazione ad Airolo. Al momento mancano soluzioni per i restanti 2,5 milioni di latte ticinese. La Federazione ticinese dei produttori di latte è al lavoro per trovare soluzioni quando a giugno la LATI cesserà l’attività. Un luogo di stoccaggio sembra già esser stato individuato, da quanto riporta il Corriere del Ticino. «Un’opzione sarebbe utilizzare un centro della nostra federazione, la Fela di Cadenazzo, trasferendovi parte dell’attrezzatura della LATI» spiega al giornale Andrea Bizzozero, vicepresidente della Federazione ticinese produttori di latte. Un centro di stoccaggio tamponerebbe il problema della raccolta del latte ticinese prima di spedirlo in Svizzera centrale. In attesa di realizzare il sogno di un nuovo caseificio ticinese in grado di produrre formaggi dai lunghi tempi di conservazione come richiesto dalla grande distribuzione, resta il problema degli alti costi di trasporto verso la Svizzera interna, che ricadrebbero sui già bistrattati contadini.
Il prezzo del latte in caduta libera affligge da tempo il mondo agricolo elvetico. Oggi il litro di latte viene pagato ai contadini tra 52 e 55 centesimi. «Un prezzo che non copre il costo» spiega Graziano Bulloni, produttore di latte di Isone. Per questo, lui e alcuni contadini ticinesi hanno aderito alla cooperativa nazionale Faireswiss - Latte Onesto. Nata nel 2019, la Cooperativa ha quale obiettivo di pagare ai produttori un franco a litro. Bulloni, uno dei primi ticinesi ad avervi aderito, trae un bilancio positivo della sua partecipazione. «Sono contento perché la parte che si vende è pagata il giusto. Purtroppo, non avendo la Cooperativa sbocchi nella grande distribuzione (in Ticino solo la Manor vende i loro prodotti, ndr), non possiamo aumentare la produzione». Sulla stessa linea Jean Claude Antonioli, proprietario di una delle rare aziende che riforniva la LATI tutto l’anno e membro di Latte onesto. «Due grandi catene controllano l’80% del mercato, decidendo se vendere il tuo prodotto, a che prezzo e per quale durata. Ciò vale per il latte e tutta la produzione agricola. Se mi pagassero il latte al prezzo giusto, farei volentieri a meno dei pagamenti diretti».

Pubblicato il

29.01.2024 15:32
Francesco Bonsaver
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