Chissà se la caccia è una malattia genetica

Mendrisio, martedì 6 settembre: falò di protesta contro l’apertura della caccia ai camosci del Generoso e ai cervi del San Giorgio. Tanta gente, buoni propositi e frasi edificanti sui nostri rapporti con la Natura. Pasto frugale, politically correct: formaggini della Valle di Muggio (zincarlin Doc!), uva, noci, nocciole e un bicchiere di Merlot. (Patrioti fino all’estremo sacrificio.) Per chiudere il raduno, una fiaba (qua e là grottesca) e alcuni dati allarmanti sul degrado ambientale causato dall’antropizzazione nel basso Ticino. Siamo tutti dalla parte dell’Associazione Amici dei camosci, che lavora di concerto con gli Amici del Parco della Montagna. Gli uni pro Generoso gli altri pro San Giorgio e tutti per l’abrogazione della caccia a sud del ponte di Melide. 13.000 le firme raccolte l’anno scorso, più di 15.000 quest’anno. Risposta delle autorità cantonali? Niente. Neanche una piega. Sarà perché occorre fare i conti con la politica? Può darsi. Si sa, l’uomo è per natura un animale politico (tant’è che spesso l’uomo politico è una bestia, come dice la battuta). Perché Borradori non risponde? Ora, non vorremmo infierire sul ministro dell’ambiente, ma a noi sembra che i casi siano due: o Borradori è cacciatore passionale (l’aggettivo è di Raimondo Locatelli) e non solo di voti, come si potrebbe affermare con noncurante leggerezza; o la lobby dei cacciatori è davvero così potente da sconfiggere anche la politica. (Oppure – ma è ipotesi estrema – Borradori non ama la Natura, e può pure darsi che abbia certe ragioni per farlo. Chi di noi può affermare con certezza di non avere un conto aperto con la Natura?) Vuoi vedere che la caccia è nel nostro Dna di ticinesi come lo sarebbe nei trentini, secondo l’autorevole parere di Mario Rigoni Stern? In altre parole, vuoi vedere che la caccia è una malattia genetica? No. Noi crediamo piuttosto che la caccia abbia qualcosa a che vedere con la testa. Che fare? Pensando a qualche figura di cacciatore, e semplificando all’estremo, ci sono due modi di operare (pardon): o forzare la mano all’evoluzione (sono tanti i contenuti genetici umani che sono andati via via evolvendo con l’evolversi della condizione umana) o provare con la lobotomia. Ma ci pare che piova sul bagnato. Ora, al di là della battuta, è chiaro che l’opposizione alla caccia a sud del ponte di Melide è una battaglia di civiltà oltre che una prova di buon senso. Per tante ragioni tutte riconducibili al discorso ambientale. Cacciare nel Mendrisiotto è come pretendere di fare windsurf nella vasca da bagno. Né ci si venga a dire che siamo alle solite sinistre. Intanto il fronte è molto più largo e poi non è che si sia contro per paranoia (Locatelli dixit); qui siamo per. Cioè propositivi. Siamo per assicurare un futuro alla natura. Tutto qui (si fa per dire). La caccia è come la guerra: è una cosa troppo seria per essere lasciata nelle mani dei colonnelli.

Pubblicato il

16.09.2005 13:30
Claudio Origoni