Chiasso amarcord

Sono pochi e malconci i resti della cittadina piccolo-borghese che fu Chiasso nella prima metà del Novecento. In quella cittadina non vi era nulla di eccezionale ma nei quartieri residenziali tra il Corso San Gottardo e il Breggia regnava una modesta agiatezza, fatta di villette e palazzine dignitose, attorniate da giardinetti e piccoli orti, abitate da impiegati delle poste, delle ferrovie, delle dogane e delle case di spedizione, con il lavoro sicuro per la vita e regole infrangibili nel vestire, nel mangiare, nel rispettare ricorrenze e festività. Bottegai, artigiani ed operai stavano piuttosto nelle corti lungo Corso San Gottardo, dove allignavano anche le principali osterie. Lo stile architettonico più diffuso era un modesto lombardo-floreale, con qualche timido sprazzo di modernità disseminato qua e là. Poi venne la sbornia speculativa, bancaria e stradale, che lasciò pesanti tracce nel tessuto cittadino, sotto forma di palazzi, stazioni di benzina, demolizioni. E oggi? Oggi Chiasso è precipitata in una difficile situazione urbanistica: traffico pesante, rumori, inquinamento, brandelli di iniziative balorde andate in fumo (l’improbabile casinò che doveva sorgere vicino a Brogeda), locali commerciali vuoti, la gloriosa stazione ben tenuta ma piuttosto deserta. Chiasso ricorda un po’, per certi versi e molto più in piccolo, la vecchia Trieste porto dell’Austria, persa prima dagli antichi padroni e poi abbandonata da tutti. Ma ci sono anche, per fortuna, eventi di altro segno. Per esempio il teatro. Gli amici del teatro e un architetto tenace, Mario Ruffoni, hanno portato a termine con mezzi limitati un’operazione di rinnovamento che sembrava impossibile. Brutto di fuori l’edificio offre oggi di dentro uno spazio adeguato ai suoi scopi, non spregevole dal punto di vista estetico. Il risultato è ancora più meritorio se si pensa che il lavoro è stato condotto con le unghie e coi denti in un ambiente tirchio ed infido. Ma che fare con tutto il resto, considerati il numero e la complessità dei problemi? Molti di questi hanno radici lontane, fuori dalla portata dei cittadini del luogo. È difficile esprimersi, ma se toccasse a me fare qualcosa e ne avessi il potere comincerei col piantare alberi dappertutto, nei luoghi pubblici e in quelli privati. Ma pianterei piante di quelle vere, che crescono, fanno fronde rigogliose, mettono foglie e fiori, lambiscono anche le facciate delle case: un esercito verde di anticorpi da opporre all’imperio del cemento, dell’asfalto, dei rumori, dell’aria malata. Chiasso non tornerebbe più ad essere la cittadina piccolo-borghese di un tempo ma potrebbe diventare una specie di grande tappeto arboreo costellato di case, adagiato sul fondo della sua conca calda e nebbiosa. Capita anche a voi, attraversando il martoriato Mendrisiotto, di lasciarsi andare, un po’ per disperazione, a simili sogni bizzarri?

Pubblicato il

22.02.2002 13:00
Tita Carloni