Chi specula sui bassi salari

L'ispettorato del lavoro ha accertato il dumping salariale in tre settori industriali: farmaceutica, elettronica e informatica. La Commissione tripartita, di cui fanno parte rappresentanti del padronato, dello stato e dei sindacati, in conformità alla legge, ha chiesto al Cantone di promulgare un contratto normale di lavoro che vincolasse dei minimi salariali nei tre comparti industriali. Il governo ha dato seguito alla richiesta, pubblicando sul foglio ufficiale la proposta di contratti con salari minimi obbligatori (17.30 franchi l'ora lordi, per una somma complessiva di poco oltre ai 3mila franchi mensili). L'Associazione delle industrie ticinesi (Aiti) ha reagito duramente, contestando il lavoro delle autorità cantonali e criticando aspramente i sindacati, colpevoli ai loro occhi di voler introdurre soglie minime di decenza salariale. Con Rolando Lepori, segretario di Unia Ticino e responsabile industria cantonale, facciamo il punto sui rapporti con Aiti e le condizioni nell'industria locale.

«Falsa propaganda sindacale», «No a contratti normali di lavoro», «No a salari minimi» sono le risposte dell'Associazione delle industrie ticinesi (Aiti) all'introduzione di norme minime obbligatorie in alcuni settori industriali. È un gioco delle parti o hanno realmente paura ?
Hanno paura. L'introduzione di un salario minimo obbligatorio in alcuni comparti è un possibilità concreta. Sono spaventati perché non potrebbero più assumere a 1'800 franchi mensili o sostituire la manodopera locale con quella frontaliera versandole stipendi inferiori.
Di dumping salariale se ne parla da anni, ma di interventi per arginarlo non se ne sono visti molti. Cosa è cambiato?
Il ruolo dello Stato. Da spettatore è diventato attore. Si è dotato degli strumenti necessari per intervenire laddove la legge lo consente. Il primo passo è stato quantificare in modo preciso l'importo di un salario in uso nei diversi ambiti professionali. Un passaggio obbligato, perché la legge consente di intervenire solo dove si verificano degli abusi salariali gravi e ripetuti rispetto ai salari in uso nel settore. E se non si definisce il salario in uso, è impossibile sostenere che ci sia dumping. Il passo successivo è stato l'analisi dell'Ispettorato del lavoro volta a verificare se ci fosse abuso salariale in alcuni settori. Ed è quanto è stato dimostrato nella farmaceutica, elettronica e informatica. Da lì la proposta della Commissione tripartita di emanare un contratto normale di lavoro in quei settori.
Aiti ha già annunciato il ricorso contro la misura, sostenendo che i dati raccolti sono falsati.
L'Ispettorato del lavoro ha svolto delle indagini serie. Il problema di fondo è che lo Stato non può essere considerato utile solo quando fa comodo. Davanti all'esplosione di assunzione di manodopera frontaliera a basso costo, lo Stato deve intervenire ponendo uno sbarramento salariale per tutelare la popolazione residente. Lo Stato si è dunque assunto le sue responsabilità.
Nel caso della farmaceutica, Aiti sostiene che siano i salari di una sola azienda a falsare la media.
Aiti ha una posizione contraddittoria. Se fosse vero che si tratta di una sola azienda farmaceutica a versare bassi stipendi, non capisco il rifiuto di Aiti di introdurre un salario minimo a 3mila franchi. La misura toccherebbe solo quella ditta, mentre per le altre non cambierebbe nulla. L'impressione è che Aiti giochi la carta dell'ostruzionismo per permettere alle aziende di continuare a macinare profitti speculando sulle paghe basse. Lecito chiedersi se Aiti col suo comportamento renda un servizio alle aziende farmaceutiche cantonali.
Seguendo il ragionamento, l'ostruzionismo di Aiti sembra dunque aver motivazioni più ideologiche che pratiche…
Certamente è una posizione ideologica. E dimostra anche una scarsa sensibilità imprenditoriale. Un'azienda che massimizza il profitto speculando sui salari dei dipendenti non è un'azienda seria perché va a colpire chi quella ricchezza la produce. Se alla prima variazione del cambio o alla perdita di un cliente, un proprietario di azienda reagisce decurtando il salario ai dipendenti, non lo si può definire un imprenditore. È un parassita.
Aiti sostiene che l'imposizione di un salario minimo da 3mila franchi è impossibile da raggiungere per molte aziende.
C'è un importante margine di recupero dei salari in Ticino. I tremila franchi di stipendio sono facilmente raggiungibili in tante aziende. Nell'orologeria in Ticino vi lavorano circa 2mila persone. Lo stipendio minimo è di 2'600 franchi. Ebbene, a fronte degli utili pazzeschi registrati negli ultimi anni, potrebbero portare i salari a 3mila franchi domani mattina senza neanche accorgersi. Ed è così anche in altri settori. Che esistano delle criticità, non lo nego. Ma sono quelle che producono a basso valore aggiunto, in concorrenza con paesi asiatici o nordafricani. Come sindacato però mi devo chiedere: «Possiamo pregiudicare il futuro di oltre 20mila lavoratori per questi 1500 posti di lavoro critici? La conclusione è no. Dobbiamo accettare il fatto che certe tipologie di produzione partano dal Ticino, perché fino a quando ci ostineremo a tenerle, i diritti di tutti gli altri lavoratori saranno messi in pericolo.
Aiti sostiene che un salario minimo da 3mila franchi provocherebbe un livellamento degli stipendi verso il basso.
Avviene esattamente il contrario. L'assenza di un livello salariale minimo fa sì che oggi gli stipendi si stiano abbassando, attraverso il meccanismo della sostituzione di personale indigeno.
Il sindacato ha chiesto alla Tripartita l'adozione dei contratti normali di lavoro in tre settori industriali con salari minimi leggermente superiore ai 3mila franchi. Parallelamente, Unia si appresta a condurre la campagna sul salario minimo di 4mila franchi in Svizzera. Non c'è contraddizione?
Siamo ben consapevoli che uno stipendio da 3mila franchi basta appena per sopravvivere in Ticino. Di fronte al nulla attuale però, questa minima soglia ci permette di costruire nel futuro a livello cantonale. Se il popolo dovesse approvare in votazione la nostra iniziativa sul salario minimo nazionale obbligatorio di 4mila franchi, sarà un ulteriore balzo in avanti.


Manifestazione per un dignitoso futuro industriale

Il prossimo 22 settembre la piazza federale di Berna si riempirà di operai dell'industria provenienti da tutta la Svizzera, chiamati a raccolta dal sindacato Unia. Duplice lo scopo della manifestazione: dare un corpo fisico alle rivendicazioni operaie in vista dell'avvio delle trattative col padronato per il rinnovo contrattuale e promuovere una politica industriale ecologica e sociale in grado di dare futuro al paese.

La convenzione dell'industria metalmeccanica scadrà solo a fine giugno del prossimo anno, ma l'inizio delle trattative tra la parti sociali è imminente. Una convenzione di fondamentale importanza sia per il suo aspetto simbolico che materiale. Complessivamente la Convenzione regola i rapporti di lavoro di 338mila lavoratori. Quest'anno ricorre il suo 75esimo compleanno. Gli storici indicano nella sua prima firma tra partner sociali del 1937 la nascita della pace del lavoro in Svizzera. Ma molta acqua è passata sotto i ponti e le condizioni nel mondo del lavoro elvetico sono cambiate.
I rappresentanti dei lavoratori rivendicano sostanziali novità nel contratto, indice di un mutamento dei tempi. In primis si chiede l'introduzione di salari minimi (oggi inesistenti), indispensabili secondo Unia per contrastare il dumping salariale generalizzato. Altra novità sindacale, l'abolizione dell'articolo 57, la norma invocata (e spesso abusata) da parte padronale per introdurre il lavoro gratuito nelle aziende.
Ma non solo di norme contrattuali vuole discutere il sindacato. Non ha senso, sostiene Unia, avere una Convenzione di un settore se non gli si garantisce un futuro. Unia invita quindi il padronato ha intavolare una seria riflessione comune per imporre una politica industriale nel paese. Delle imminenti trattative per il rinnovo della Convenzione nazionale dell'industria metalmeccanica ne parliamo con Rolando Lepori, segretario di Unia ticino e responsabile del settore industriale.  
Da 75 anni gli stipendi non sono regolati nella Convenzione metalmeccanica. Sono lasciati alla contrattazione individuale o aziendale. Oggi invece Unia vorrebbe definire contrattualmente dei salari minimi. Cosa si è modificato nella storia ?
Ci troviamo davanti ad un fenomeno nuovo, la dislocazione della produzione di alcune grandi aziende in cantoni a minor salario. Esempio la Trasfor, acquistata da Abb ma senza introdurre i salari ed i regolamenti presenti nel gruppo argoviese. La tendenza è già in atto. Per questo si vuole porre un paletto minimo per bloccare le dislocazioni di convenienza salariale all'interno del paese.
Lo scorso anno ha fatto molto discutere l'articolo 57 della convenzione, ossia la norma che autorizza un prolungamento dell'orario settimanale senza compensazione salariale nel caso di difficoltà economiche aziendali. Il sindacato ha segnalato diversi casi in cui le aziende hanno abusato dell'articolo per mantenere invariato il loro margine di profitto. In che modo Unia intende arginare le derive dell'articolo 57?
Unia Ticino è stata la prima regione a chiedere lo stralcio di questo articolo. È un articolo che va condannato per doping. Mi spiego. Quando un'azienda lo usa, trae dei vantaggi illeciti e temporanei. Non è bluffando sulle ore di lavoro che si risolve la situazione aziendale. Ci vuole altro.
Lo scorso anno, Unia aveva denunciato Agie-Charmilles per aver introdotto tre ore gratuite di lavoro nel suo stabilimento di Losone. Come si è chiusa la vertenza?
Non si è ancora conclusa. Sebbene oggi Agie abbia revocato la misura (durata 4 mesi, ndr.), vogliamo sapere cosa succede delle ore svolte e verificare la nostra tesi secondo cui la misura era contraria alla Convenzione. Nel caso Agie è in gioco la serietà o meno del partenariato sociale. Per questo non cediamo finché non ci sarà chiarezza sull'agire di Agie. Non possiamo dire Agie ha sbagliato ma facciamo finta di niente.  Altrimenti non ha senso la convenzione e il partenariato sociale.

Pubblicato il

14.09.2012 01:00
Francesco Bonsaver
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