Con 334 voti su 630 la Camera ha varato la nuova legge elettorale che passerà alla cronaca – speriamo non alla storia – con il nome di Italicum. Una maggioranza risicata, di parte, per una legge che dovrebbe essere condivisa, visto che deve regolare il futuro della democrazia elettiva ma che invece non riesce neppure a ottenere il consenso di tutto il Partito democratico: sono 61 i voti contrari, mentre le opposizioni di destra, Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia e di sinistra, Sel, non hanno partecipato al voto. Una manciata di voti di scarto, secondo alcuni un golpe. Ma anche chi ha cullato Renzi per più di un anno cantandone le lodi dichiara di non poterne più del suo decisionismo. Il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari ricorda la “legge truffa” degli anni Cinquanta che pure rimase lettera morta grazie alle battaglie democratiche dell'opposizione comunista e socialista. Quella legge era migliore dell'Italicum perché il premio di maggioranza per garantire la governabilità scattava se il vincitore delle elezioni avesse raccolto più del 50% dei consensi, mentre ora basterà il 40%. E se nessun partito – partito, non schieramento – raggiunge questa soglia si va al ballottaggio tra i primi due classificati, cosicché si potrà diventare maggioranza assoluta anche con consensi del 25-30%. Un “perfetto” sistema bipartitico, in un paese in cui i poli sono almeno tre e Grillo continua ad aumentare i suoi consensi. Ferruccio De Bortoli si augura addirittura che il presidente della Repubblica Mattarella si rifiuti di controfirmare la legge per manifesta incostituzionalità. Motivando le sue dimissioni da direttore del Corriere della Sera, De Bortoli definisce Renzi “il giovane caudillo” e lo accusa di essere “un maleducato di talento”. Renzi perde pezzi ma “tira dritto”, usando termini che ricordano il periodo peggiore della storia d'Italia. Dopo il vulnus del Jobs act e l'aziendalizzazione della scuola, ha realizzato un obiettivo per lui strategico, non gli resta che superare lo scoglio non facile del Senato raccattando voti tra oppositori interni pavidi che temono di non essere mai più messi in lista – in modo geniale la minoranza Pd è stata paragonata dal Fatto quotidiano a “chi fa le barricate con i mobili degli altri”, citando una frase del vecchio Longanesi –, berlusconiani riconvertiti e grillini espulsi, mentre un pezzo di Sel se l'è già raccattato mesi fa. Ora abbiamo una legge elettorale in cui il 60% degli “eletti” non è eletto ma nominato dai partiti, perché quel che conta è l'obbedienza, viva la governabilità e chi se ne frega della partecipazione democratica. Se poi passerà anche il Senato non elettivo, i due terzi del Parlamento non risponderanno al volere popolare. Siamo a un passaggio delicatissimo della democrazia italiana. Non ci resta che sperare (poco) in Mattarella e (molto) in un referendum abrogativo e in una sentenza della Corte costituzionale.
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