Chi è povero resti pure povero

Durante la pandemia acutizzate le diseguaglianze, ma Berna sembra non intenzionata a combattere la povertà e propone misure vaghe

Pandemia che viene, povertà che cresce. Anzi no, tutto sembrerebbe andare abbastanza bene in Svizzera... Almeno guardando alle misure che ha preso il governo: più che combattere la miseria, Berna sembra intenzionata a voler prendere misure contro chi ha bisogno. Ne abbiamo parlato con il sociologo Jean-Pierre Tabin, dell’Alta scuola di lavoro sociale e della salute di Losanna.


 La Svizzera lamenta numerose vittime a causa della pandemia di Covid-19. Ma l’economia e il mercato del lavoro hanno fino a oggi resistito bene alla crisi scrive l’Organizzazione della cooperazione e dello sviluppo (Ocse) nel suo ultimo studio economico. Malgrado la pandemia, la nostra economia fa prova di resilienza”.

 

L’infelice tweet di Parmelin racconta che in Svizzera andrebbe tutto bene e l’economia avrebbe retto bene il colpo della pandemia. E vissero tutti felici e contenti... Insomma, niente problemi nel nostro paese?

Secondo i risultati delle indagini in corso chi ha dovuto sopportare il contraccolpo più pesante sono le persone con un basso reddito, il che ha portato ad acutizzare le disuguaglianze. Le misure adottate per contenere il virus hanno limitato di più le attività delle fasce più povere: per esempio, un maggior numero di persone a basso reddito ha visto ridurre il proprio tempo di lavoro e ha avuto meno possibilità di poter lavorare da casa. Le famiglie con salari molto bassi (meno di 4mila franchi al mese) hanno visto il loro reddito diminuire in media del 20% dall’inizio della crisi sanitaria. Si può quindi stimare che la pandemia tenda a causare un rafforzamento delle disuguaglianze economiche. Una cristallizzazione delle situazioni di povertà per una parte significativa di queste persone confermerebbe l’impatto a lungo termine della pandemia sulla povertà.


La povertà in Svizzera resta nascosta e rimane un problema da non dichiarare alle autorità...

La pandemia ha peggiorato significativamente le condizioni di vita di individui o famiglie che normalmente se la cavano da sole, ma non hanno diritto all’aiuto delle assicurazioni sociali o alle prestazioni dell’assistenza sociale. Le ragioni per non richiedere le prestazioni sociali includono la vergogna, la paura delle conseguenze per i permessi di residenza o la paura dello stigma. Temono inoltre di dover restituire gli aiuti che hanno ricevuto o di dover lasciare la Svizzera: esistono, infatti, situazioni di lavoro nero e irregolare, spesso legate all’assenza di un permesso di lavoro o di un permesso di breve durata.


È un problema per la Svizzera la povertà? Intende combatterla?

Lo scorso mese di giugno la Svizzera ha aderito all’accordo sottoscritto dai 193 paesi membri dell’Onu per diminuire la povertà entro il 2030. C’è però un elemento che invita a riflettere. Nel 2018 il Consiglio federale ha deciso di limitare al minimo il suo impegno in questo ambito, riducendo il suo contributo finanziario alla Piattaforma nazionale contro la povertà e ha anche abbandonato l’idea di introdurre il monitoraggio sulla povertà. Il Consiglio federale non si dà i mezzi per raggiungere l’obiettivo di riduzione della povertà, che richiederebbe una diversa distribuzione del reddito e della ricchezza. Come mai ora dice di combattere la povertà assieme all’Onu?


Ecco, come mai lo dichiara?

La domanda più profonda è, parafrasando Bruno Lautier a proposito della Banca Mondiale: perché i 193 Stati membri dell’Onu vogliono improvvisamente, e all’unanimità, eliminare la povertà? Al di là dell’evidenza morale, quale rappresentazione del mondo, delle ragioni della povertà e delle disuguaglianze sono trasmesse da questo tipo di dichiarazione? La politica sociale resta staccata dai rapporti di potere, che organizzano la distribuzione ineguale della ricchezza tra e all’interno dei paesi. L’agenda dello sviluppo sostenibile dell’Onu può essere analizzata come una forma di narrazione missionaria, che stabilisce obiettivi in linea con il “New Public Management”, che considera lo stato sociale troppo costoso e resta attaccato all’idea che la pressione fiscale riduce la competitività internazionale delle imprese. Una narrazione missionaria all’interno della quale la Svizzera ha preso delle misure vaghe e non concrete. Un modo difficile di eliminare il problema…

Pubblicato il

07.02.2022 11:17
Raffaella Brignoni