Non bastano cinque anni di solida ripresa economica in Svizzera per partire da una base comune. Anche questo autunno le trattative salariali si prospettano difficili. Così, mentre da una parte le organizzazioni sindacali chiedono l'adeguamento al rincaro e un aumento reale in busta paga (si veda la pagina 6 per le rivendicazioni del sindacato Unia), dall'altra il padronato risponde picche.
Le condizioni quadro dell'economia non permetterebbero alle aziende di aprire i cordoni della borsa e la prudenza nell'aumentare i salari sarebbe quindi più che mai d'obbligo.
I miliardi bruciati dagli istituti bancari con la crisi dei mutui subprime americani e il rincaro del petrolio e delle materie prime sarebbero i vettori di una recessione che potrebbe coinvolgere le imprese e quindi anche i salariati. Salariati che dovrebbero quindi accontentarsi della propria busta paga per non mettere ulteriormente sottopressione le imprese elvetiche e la loro competitività.
È questo in breve il ritratto delle argomentazioni sul tappeto in vista delle negoziazioni che entreranno nel vivo questo autunno. Con una novità però questa volta che ha acceso le discussioni sui giornali svizzeri.
L'inflazione record – per l'ultimo ventennio – registrata questo luglio del 4,9 per cento ha scatenato il dibattito su quella che viene chiamata la "spirale prezzi-salari". In sostanza il rincaro, che gonfia sì i costi di produzione ma erode anche il potere d'acquisto, è diventato un argomento che si ritorce sulle rivendicazioni delle associazioni sindacali. Chiedere di adeguare i salari all'inflazione e aumenti reali in busta paga provocherebbero una maggiore inflazione facendo piombare il paese in una pericolosa spirale inflazionistica. È questa la tesi usata per invitare i sindacati alla moderazione che ha fatto sua anche il vice presidente della Banca nazionale svizzera (Bns), Philip Hildebrand, che in una presa di posizione sulla stampa ha detto che l'istituto monetario reagirà con una stretta monetaria qualora i salariati venissero compensati del forte rincaro.
Ma siamo davvero in una situazione così grave? Un aumento dei salari potrebbe davvero portare ad un automatico aumento dei prezzi? La Bns ha ragione a temere l'inflazione? L'abbiamo chiesto a Mauro Baranzini, economista e decano della facoltà di economia dell'Università della Svizzera italiana.

Mauro Baranzini ci può spiegare in cosa consiste la spirale prezzi-salari?
Si tratta di un fenomeno in cui in aggiunta ad un saggio di inflazione sostenuto, diciamo superiore al 3-4 per cento, le associazioni sindacali premono comprensibilmente per un adeguamento dei salari dello stesso ordine o in misura maggiore. In presenza di questi fattori, cioè di aumenti salariali decisamente superiori ad un saggio di inflazione già alto, e se soprattutto l'incremento della produttività è basso come lo era in Inghilterra, Italia e Francia alla fine degli anni Settanta, allora può succedere che gli aumenti salariali possano contribuire a tenere alta l'inflazione.
Si è mai verificato questo fenomeno in Svizzera?
No, decisamente no. Non è sicuramente successo nell'ultimo trentennio. Dal 1975 al 1980 in Svizzera l'indicizzazione dei salari al rincaro era totale. Mi spiego meglio: molte imprese private e pubbliche pagavano il rincaro ai lavoratori già al 31 dicembre. Si poteva allora pensare che questo meccanismo potesse contribuire a tenere alta l'inflazione, ma in realtà da noi non ha rappresentato un grosso problema. E se anche lo fosse stato l'indicizzazione automatica è stata comunque, per la sfortuna dei lavoratori, tolta.
Negli ultimi 15 anni in Svizzera l'inflazione è stata bassa. Quale è la miccia che ha fatto scoppiare l'indice dei prezzi al consumo in questi ultimi mesi?
A differenza di quanto è successo negli anni Settanta e Ottanta in questo momento più della metà dell'inflazione è dovuta ad un improvviso aumento del prezzo dei vettori energetici e delle materie prime. Non siamo quindi in presenza di un meccanismo di trasferimento immediato ed automatico di trasporto sul livello dei prezzi generali. Molti governi hanno risposto che di fronte a questo fenomeno di inflazione importata c'è ben poco da fare, non è quindi colpa delle imprese o delle rivendicazioni salariali. Alcuni governi hanno reagito togliendo dal paniere dei beni che crea l'indice dei prezzi quegli elementi che sono influenzati da fattori esterni. Se il tasso d'inflazione medio in Svizzera sarà del 3,5 per cento – come credo che sarà – i sindacati potrebbero allora eccezionalmente chiedere solo questa volta il 50 per cento dell'indicizzazione per non causare problemi alla competitività delle imprese elvetiche (l'Unione sindacale svizzera ha chiesto il 2,5 per cento per il rincaro, ndr). Ma il vero nocciolo della questione non è questo singolo evento: i datori di lavoro devono finalmente decidersi a remunerare gli incrementi della produttività che negli ultimi 6-7 anni ha fluttuato in media intorno al 1,5-1,75 per cento. In questo periodo però questo aumento di produttività non è stato remunerato: i salari reali hanno marciato sul posto. Gli aumenti di produttività sono stati intascati dai manager o da chi può mettere mano ai profitti d'azienda. Le faccio un esempio lampante per capire: le amministrazioni pubbliche non solo non hanno corrisposto nessun aumento salariale in questi anni, in alcuni casi non hanno neppure compensato totalmente il rincaro. Questa situazione è inaccettabile, non dico nel breve, ma nel medio-lungo periodo non si può andare avanti così.
Lei crede che un aumento dei salari comporterà davvero un aumento dei prezzi in Svizzera?
Credo che la situazione particolare che stiamo vivendo con l'inflazione stia contribuendo a deviare la discussione dal punto centrale della questione: si può discutere su questo rincaro annuale, ma sul tappeto resta la questione di un incremento di produttività che non è stato riconosciuto e corrisposto ai lavoratori. Su questo non si può davvero cedere se non vogliamo creare nuova povertà.
La Banca nazionale svizzera si è detta preoccupata dalle spinte inflazionistiche degli ultimi mesi e ha invitato i sindacati a non chiedere aumenti in busta paga. La ritiene una richiesta giustificata?
Le parole pronunciate dal vice presidente della nostra banca centrale (Philipp Hildebrand, ndr) – che sicuramente non fatica troppo ad arrivare alla fine del mese – sono davvero infelici. Non è possibile che di fronte ad un'affermazione del genere non vi sia stata una reazione da parte del direttorio della banca, ma anche una presa di posizione più netta dei sindacati. La nostra banca centrale, come del resto la Fed (la banca centrale americana, ndr) e quella europea sono intervenute con miliardi per tenere artificialmente bassi i tassi di interesse per non far fallire le banche ingorde che hanno subìto perdite dalla crisi dei mutui americani ora vengono a dire che la banca nazionale svizzera si sentirà – addirittura anche in caso di un adeguamento parziale al rincaro – in dovere di intervenire. Spero non sia l'espressione di tutto il direttorio della Bns. Tuttavia finora nessuno se ne è distanziato. Siamo in un momento in cui a causa dell'instabilità dei mercati, dei gridi di dolore sulle finanze pubbliche, dei moti di nuove liberalizzazioni e di sgravi ai più ricchi – e anche in cui una parte dei sindacati non reagisce come dovrebbe – si lasciano passare queste minacce senza proferire parola.
Se la nostra banca centrale reagisse all'aumento dei salari con una politica monetaria restrittiva quali sarebbero le conseguenze?
Sono parole al vento, non ci sarà alcuna ritorsione. Sono minacce vuote che una banca centrale seria non dovrebbe fare. Lo strumento monetario non serve più a molto, si dovrebbe casomai agire sulla leva fiscale per riproporre una ridistribuzione che potrebbe – questa sì – servire a calmierare le spinte inflazionistiche. Ricordo inoltre che l'inflazione ha un maggiore impatto proprio sui salari bassi e medio-bassi per rapporto a quelli alti (si veda la tabella in pagina).
Dobbiamo davvero preoccuparci del livello di inflazione?
Credo che ci siano segnali di allarme, ma che non sono quelli che abbiamo avuto alla fine degli anni Settanta e inizio Ottanta. Questo perché molte cinghie di trasmissione di quel tipo di inflazione sono stati eliminati. La spirale salari-prezzi si crea se le aziende sono in grado di recuperare i maggiori costi dovuti agli aumenti in busta paga facendoli pesare sui consumatori e aumentando così dello stesso ammontare i prezzi dei loro prodotti. In Svizzera la rottura di molti oligopoli (cioè quando poche imprese controllano un settore economico, ndr) ha fatto sì che questa cinghia sia diventata molto meno forte. Chiaro, in quei settori in cui non esiste la concorrenza, come quello delle casse malati, l'inflazione picchierà duro. Ma l'automatismo e i gridi di allarme per non adeguare i salari all'inflazione – vero, alta questo singolo anno – sono strumentali.

Pubblicato il 

29.08.08

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