Che la pena vi sia lieve

1800 franchi di multa. Se non pagati, 17 giorni di carcere. Forse ricordate il caso di caporalato nel cantiere di Pazzallo denunciato da Unia un anno e mezzo fa (si veda area 5 giugno 2009). La multa e l'eventuale detenzione sarebbero l'epilogo giudiziario, sfociato nel decreto d'accusa emesso lo scorso ottobre nei confronti del titolare di un'impresa di un comune della cintura milanese.

Il condizionale è d'obbligo, poiché il Ministero pubblico da noi contattato si rifiuta di dare informazioni, salvo confermare l'esistenza del decreto d'accusa. Questo malgrado l'interesse pubblico sulle conseguenze penali che potrebbe incorrere chi commette un reato di tale gravità appaia piuttosto evidente. Ma non solo il pubblico non ha diritto a questa informazione. Tutti gli uffici coinvolti da noi contattati, sia quelli cantonali (ispettorato del lavoro, sorveglianza del mercato del lavoro, polizia cantonale) sia quelli di partenariato sociale (Aic, commissione paritetica, sindacati e associazioni padronali di categoria) non hanno ricevuto informazioni dalla magistratura sul caso. Se i controlli ci sono (il Ticino è di gran lunga uno dei cantoni che segnala il maggior numero d'infrazioni), sarebbe auspicabile una migliore comunicazione tra magistratura e  addetti ai lavori, perlomeno nei casi gravi.
Ricapitoliamo quanto successe nello specifico. Stando a quanto denunciò Unia in una conferenza stampa nel maggio 2009, dei lavoratori reclutati dall'impresa lombarda nelle piazze milanesi furono impiegati quali gessatori nel cantiere luganese. Dormirono per tre settimane nella lavanderia del palazzo in costruzione. Dei pannelli isolanti erano il loro materasso, mentre la retribuzione promessa era a cottimo, 4 franchi al metro. Della paga i lavoratori videro solo qualche anticipo di poche centinaia di franchi dopo numerose insistenze. Per sfamarsi, ricevettero del cibo anche da altri operai del cantiere mossi dalla pietà. Un triste quadretto di degrado sociale e civile ambientato nella ricca Lugano. L'impresa lombarda era arrivata in Ticino perché chiamata da una ditta ticinese di gessatura che gli aveva affidato un subappalto. Per quei lavori la ditta svizzera ha regolarmente pagato l'impresa milanese, anche se successivamente dovette mandare dei propri dipendenti a rifare i lavori perché malfatti. La ditta ticinese perse dunque qualcosa in termini finanziari e d'immagine. Contro l'impresa italiana, oltre al finora teorico decreto d'accusa nei confronti del titolare, è stato anche emesso un divieto d'entrata in Svizzera per 3 anni e mezzo e il suo nome figurerà nella lista pubblica stilata dal Segretariato di stato dell'economia (Seco).
Abbiamo chiesto a Gabriele Milani di Unia un'opinione sul teorico epilogo giudiziario di un fatto grave non solo per il benessere dei lavoratori, ma per la società civile in generale. «Se questa è la condanna, difficile ritenerla dissuasiva. Con pochi giorni di manodopera impiegata al nero, la multa è già stata recuperata. Ma vi sono anche altri segnali preoccupanti della reale volontà di contrastare il degrado sui cantieri. Proprio sull'onda del caso da voi citato, i sindacati e l'associazione ticinese padronale dei gessatori avevano proposto come commissione paritetica uno strumento supplementare di controllo sui subappalti, il vero nocciolo del problema. Si trattava di un formulario di "dichiarazione per lavori in subappalti" inteso a chiarire le responsabilità in caso di violazioni al contratto collettivo. Il Segretariato di stato dell'economia (Seco) ha bocciato l'introduzione del formulario, affermando che non si possono regolamentare i rapporti fra aziende, ma solo tra dipendenti e ditte. A nostro giudizio, questo significa sottomettersi a una volontà politica di deregolamentazione del mondo del lavoro molto pericolosa, dalle conseguenze sociali devastanti. Non stiamo chiedendo di abolire il libero mercato, ma il rispetto delle regole certamente. E gli esempi di degrado nei casi di subappalto, dove si scaricano le responsabilità, dimostrano l'urgenza di intervenire con regole chiare, nell'interesse di tutti».


La cauzione si fa strada

L'introduzione di una cauzione per le imprese estere che vengono a lavorare in Svizzera è legittima. Lo ha sentenziato il Tribunale federale (Tf) di Losanna esprimendosi su una vertenza tra il Cantone Basilea campagna e ditte tedesche contrarie all'introduzione della cauzione. Secondo le imprese tedesche, la cauzione violava il principio di parità tra aziende svizzere e europee sancita dagli accordi bilaterali. Il Tf, chiamato a esprimersi solo sulle spese processuali poiché i ricorrenti avevano rinunciato al ricorso, ha precisato nella sentenza che la cauzione non è contraria alle leggi attualmente in vigore e quindi legittima. Il Segretariato di stato dell'economia (Seco) ha però invitato le aziende svizzere ha trovare un'altra soluzione per garantire la parità di trattamento. Finora, le associazioni padronali elvetiche avrebbero fatto da garanti nel caso di violazioni di ditte associate, evitando che quest'ultime versino la cauzione. Ora, afferma il Seco, sarà necessario trovare un'altra soluzione che garantisca la parità di trattamento.
L'idea della cauzione quale misura d'accompagnamento ha almeno quattro anni. Nel 2006 il Consiglio federale stilò un rapporto sull'efficacia delle sanzioni sui lavoratori distaccati. Tra le possibili misure supplementari indicò la possibilità di chiedere la cauzione se prevista nei Ccl decretati d'obbligatorietà generale. Il contratto di lavoro della posa dei ponteggi fece da apripista, introducendo per primo la novità. La sentenza del Tf ha spianato la strada affinché la cauzione diventi generalizzata in tutti i Ccl decretati d'obbligatorietà generale.
Dal primo gennaio di quest'anno la cauzione è obbligatoria nel canton Ticino nel ramo dei piastrellisti, così come dal 31 marzo diventerà vincolante anche per i pittori in Ticino, mentre sarà valida in Svizzera tedesca nel ramo pittori e gessatori. Dal primo maggio la cauzione diventerà effettiva anche nel settore della tecnica della costruzione e il settore dell'isolazione. Presto la cauzione sarà obbligatoria anche in tutta l'edilizia secondaria in Romandia, salvo imprevisti giudiziari scaturiti da possibili ricorsi.
Ma quali sono i vantaggi della cauzione nella lotta al dumping salariale? Il primo è la possibilità materiale d'incassare i soldi delle multe comminate dalle commissioni paritetiche in caso di violazioni dei Ccl (non le multe inflitte dalle autorità). Soldi difficili da recuperare quando le ditte rientrano all'estero. La cauzione per le ditte svizzere è vista di buon occhio dai sindacati, perché è tutt'altro che raro che imprese debitrici verso i lavoratori falliscano lasciando i dipendenti a bocca asciutta. Il secondo vantaggio della cauzione è una sorta di "selezione naturale" all'entrata. Solo le ditte più serie, si afferma tra gli addetti ai lavori, sono in grado di versare una cauzione, avendo la disponibilità finanziaria per bloccare degli importi variabili tra i 10 e i 20mila franchi, per alcuni mesi.

Pubblicato il

28.01.2011 02:30
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