Stabilisce la Legge federale sul lavoro: in Svizzera il lavoro domenicale è “vietato”. Salvo eccezioni. Eccezioni ovvie, come quelle che riguardano ospedali, farmacie, alberghi, aziende turistiche, redazioni dei giornali e altri soggetti che offrono servizi essenziali alla popolazione. Ed eccezioni un po’ meno ovvie e meno giustificabili, come quelle di cui godono i negozi. E che gli insaziabili liberisti nostrani vorrebbero sempre più ampie, come dimostra la nuova (ennesima) proposta del Consiglio federale tesa ad autorizzare l’impiego di personale la domenica nei commerci delle principali città svizzere, Lugano compresa.
Dopo aver liberalizzato il lavoro domenicale, per rispondere ai presunti bisogni dei viaggiatori, prima (era il 2006) nei punti vendita e nelle aziende di servizi situati nelle stazioni ferroviarie e negli aeroporti e successivamente (nel 2013) negli shop delle stazioni di benzina situate lungo strade trafficate (dove oltretutto il personale può essere impiegato anche durante la notte), ora è il turno delle “zone urbane con turismo internazionale”. Il progetto, appena posto in consultazione dal ministro dell’economia Guy Parmelin, mira in sostanza a creare grandi quartieri turistici cittadini sul modello di quelli già esistenti nelle località di montagna, dove i negozi (con alcune limitazioni dell’assortimento) beneficiano di una deroga al divieto d’impiegare personale la domenica, nella misura in cui si soddisfano “bisogni specifici delle turiste e dei turisti”. Il che verosimilmente significa dare luce verde all’apertura di quasi ogni genere di negozi, compresi i supermercati delle grandi catene, che ancora una volta sarebbero le prime ad approfittarne. I centri delle città con più di 60.000 abitanti (dunque Zurigo, Berna, Basilea, Lucerna, Ginevra, Losanna e Lugano) si trasformerebbero così in shopping center aperti 7 giorni su 7. A dover preoccupare, oltre alla sostanza del provvedimento, è anche la forma in cui si tenta di farlo passare: tramite una modifica di ordinanza, che come tale non è referendabile e dunque non può essere sottoposta a votazione popolare, come invece fu il caso per le precedenti liberalizzazioni. Dunque in maniera poco democratica, tenuto conto anche della portata della riforma in cantiere che non è certo “mini” come viene descritta, visto che va a intaccare uno dei capisaldi della legislazione sul lavoro: il principio del divieto del lavoro domenicale. A trasformare l’eccezione in una regola. Con tutto ciò che questo comporta innanzitutto per il benessere psicofisico del personale della vendita, ma non solo. Il riposo domenicale è importante per la salute di tutti, di chi lavora come di chi compra e per l’insieme della società, non si stancano di ripetere gli specialisti in medicina del lavoro. Ed è importante che domenica resti domenica, cioè un giorno di libero per la maggior parte delle persone, da dedicare alla famiglia, alle relazioni sociali, allo stare insieme, al riposo e ad attività estranee al lavoro e alla logica del consumo. Un’ulteriore estensione del lavoro domenicale nei negozi delle città, fortemente voluta dagli ambienti economici e dalla grande distribuzione (che reputano addirittura insufficiente il provvedimento in discussione), non è solo una minaccia per le venditrici e per i venditori, ma per una sempre più ampia cerchia di lavoratrici e lavoratori, come fornitori, magazzinieri, autisti, tecnici informatici, baby-sitter e tutte le figure indispensabili perché i commerci possano rimanere aperti. E per i loro cari e le loro famiglie.
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