Ceto medio impoverito

Prima che fosse introdotto il Tilo nel 2005, il servizio ferroviario regionale era svolto da convogli delle FFS che si fermavano in tutte le stazioni da Airolo a Chiasso o da Bellinzona a Locarno. A questi si aggiungevano, in determinate fasce orarie, i treni diretti provenienti dalla Svizzera interna che, una volta giunti in Ticino, effettuavano il servizio locale. Alla stazione di Lugano, l’arrivo di tali treni veniva annunciato in questo modo: «È in arrivo sul binario 2 il treno diretto proveniente da Zurigo. Ferma a Lugano-Paradiso, Melide, Maroggia-Melano, Capolago - Riva S. Vitale, Mendrisio, Balerna, Chiasso». Anche se svolgeva il servizio locale, quel treno era cosciente di essere un diretto.


Quando si impoverisce, il ceto medio non dovrebbe cessare di essere ceto medio? No, non smette di pensarsi come prima, non rinuncia all’aggettivo che dichiara la sua posizione nella società. Ha piacere che gli si domandi da dove viene, non dove sta andando, perché ha orrore di confondersi con il ceto basso, la massa dei poveri. Tiene da parte ben impacchettate le posate d’argento, continua a far regali ai figli degli amici sebbene gli costino feroci risparmi, licenzia la donna delle pulizie ma conserva il suo numero di telefono, viaggia imbronciato in seconda classe, è infastidito dallo spettacolo dei migranti accampati nell’atrio delle stazioni. Riuscirà a vincere il ribrezzo nel fare la coda al Tavolino magico per i generi alimentari? Entrerà in un negozio della Croce Rossa a comprare vestiti e scarpe usati? Acquisterà per pochi franchi una bicicletta di seconda mano riparata dal Soccorso operaio?


Esiste invece una categoria di persone che non hanno alcun problema a pensarsi e ad essere considerate come povere. Se è un imprenditore, ad ogni scadenza elettorale chiederà riduzioni fiscali per sé, oppure si rifarà sui propri dipendenti della diminuzione degli utili causata dall’apprezzamento del franco tagliando loro il salario o obbligandoli a fare straordinari gratis. Oppure continuerà a fare in modo che sia lo Stato a pagare una parte dello stipendio ai suoi dipendenti sotto forma di assistenza, aiuti sociali e contributi al pagamento delle fatture di cassa malati. Se è un impresario costruttore, si farà dare dallo Stato quella parte della pigione che gli inquilini non riescono a pagare perché hanno redditi troppo bassi, o implorerà da Berna una pioggia di milioni per il secondo tubo sotto il San Gottardo. Se è un proprietario di cliniche private, otterrà che il Cantone stanzi ogni anno cento milioni di franchi per far sì che i pazienti possano accedere alle sue cliniche a prezzi concorrenziali con quelli degli ospedali pubblici. Se è il proprietario di un centro commerciale, esigerà che lo Stato risolva il problema della viabilità in modo che i clienti arrivino il più comodamente possibile nei suoi negozi. Se è il padrone di una televisione privata, si dichiarerà soddisfatto che il popolo svizzero abbia approvato lo scorso fine settimana una modifica nella riscossione del canone radiotelevisivo che prevede un aumento del contributo alle emittenti private. Se è un presidente di partito, dopo aver invocato tutti questi aiuti, cercherà di farsi finanziare dallo Stato... una pista ciclabile da Melide a Lugano.


Intasando – e questo è il danno maggiore – il linguaggio politico di ossimori ridicoli e di categorie sociologiche fai da te che stanno alla condizione drammatica dei lavoratori come la Marcia di Topolino cantata dai marines nel finale di Full Metal Jacket stava alla tragica carneficina americana in Vietnam.

Pubblicato il

17.06.2015 21:40
Giuseppe Dunghi
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