In Ticino non esiste da tempo una politica economica. Le prove le troviamo quasi quotidianamente leggendo notizie che confermano in tutto e per tutto questo stato di cose. L’arrivo di Zalando a Sant’Antonino, le tante chiusure di attività, come il trasferimento di tutta la logistica Migros attualmente in Ticino a Lucerna, nonché il lancio di una iniziativa della destra per la cancellazione di poco meno di 600 posti di lavoro nell’impiego pubblico nei prossimi 5 anni ne sono solo alcuni esempi. Situazioni apparentemente molto diverse tra loro, ma che non sono altro che facce della stessa medaglia. Per il Ticino, dove la permeabilità tra cantoni è geograficamente difficile, non avere una visione economica e quindi non sapere in quale direzione sia auspicabile andare, è una lacuna molto grave i cui effetti più immediati si possono leggere nelle buste paga dei lavoratori e delle lavoratrici ticinesi che ricevono i salari più bassi in Svizzera, con un differenziale, rispetto alla media nazionale, di oltre 1.000 franchi. Così, in Ticino, le risorse necessarie per promuovere i settori potenzialmente trainanti non vengono indirizzate là dove servirebbero, ma sono distribuite a pioggia sul tessuto economico, in modo spesso poco comprensibile e come se la priorità fosse solo quella di non scontentare nessuno.

 

Purtroppo, questa mancanza di indirizzi economici fa anche un’altra importante vittima, oltre al tessuto economico e ai salari. Mi riferisco alla formazione professionale perché, senza un indirizzo economico chiaro e quindi un’economia più forte a misura di territorio, anche il mondo formativo ticinese è più fragile e sfilacciato rispetto a quanto potrebbe e dovrebbe essere. Come ci viene ricorrentemente ricordato in Svizzera e anche in Ticino (se si esclude il bacino dei frontalieri) stanno venendo a mancare diverse figure professionali che con il turn-over generazionale stanno abbandonando il mercato del lavoro senza avere alle loro spalle chi sia pronto a sostituirli. Ma per formare giovani qualificati servono realtà economiche forti, con importanti e riconosciute competenze, pronte a trasmettere queste competenze alle giovani generazioni dando loro prospettive formative di valore. Per questo senza un tessuto economico forte, generato anche grazie a una politica economica degna di questo nome, si rischia fortemente di rendere più debole la formazione professionale sul territorio ticinese.

 

Intendiamoci bene però! Abbiamo bisogno di una politica economica vera, non pensata e finalizzata a intascare imposte, come fu quella promossa e realizzata da Marina Masoni anni fa e di cui stiamo ancora pagando le conseguenze (vedi Zalando che riempie i vuoti lasciati da Gucci). Ci vuole una politica economica che sia pensata e realizzata per creare un tessuto forte, per avere competenze, conoscenze e processi produttivi solidi, una politica economica rispettosa dell’ambiente e del territorio, capace di fare rete. Un’economia in grado, cioè, di offrire salari degni di questo nome che sappiano anche far tornare i nostri giovani in Ticino.

Pubblicato il 

16.10.24
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