L’esistenza di un’entità superiore, di forze celesti che reggono il corso dell’universo, di divinità che determinano il destino dell’umanità è una questione permanente e sempre aperta. L’essere umano ha cercato risposte a tale interrogativo sin dagli albori della sua storia, ma senza mai giungere a soluzioni definitive. Nemmeno negare che esista un Dio è una via d’uscita alla domanda che accompagna uomini credenti o no. Il problema non consiste tanto nel trovare argomenti a favore o contro un essere divino, percepito come più o meno vicino o lontano alla collettività umana, quanto piuttosto nel come farsene una ragione. La disperazione è un “nemico” in costante agguato e minaccia la vita di tutti gli umani, soprattutto quando li porta a ripiegarsi completamente su loro stessi, chiudendo qualsiasi orizzonte esterno. Qualunque essere razionale ha bisogno di punti di riferimento, di luoghi di confronto, di radici, di aperture all’altro da sé, di motivi per dare un senso alla propria esistenza (o, al limite, per rifiutarglielo). E se Dio (anche solo come “ipotesi di lavoro” filosofica o religiosa, come possibile sorgente di significato da considerare al di là di una credenza teologica) può fornire una logicità al creato, allora è indispensabile poterlo considerare come un “valido interlocutore”. La visione di potenze divine avversarie è tipica delle forme primordiali di religione, legate ai cicli della natura. Il buio, i cataclismi naturali, la malattia e la morte, da questi modi di vedere, sono sperimentati in genere come ostili. Vanno quindi scongiurati o tenuti a debita distanza tramite sacrifici, simbolici o reali che siano (beni alimentari, animali e, talvolta, anche persone umane). Ma una simile percezione di Dio e della religione è, in fondo, infantile, affatto adulta, quasi istintiva ed assai poco meditata. Le espressioni moderne di ateismo, per contro, sono sovente reazioni razionali ad un’esperienza troppo oppressiva del divino o delle istituzioni (come, ad esempio, le chiese) che pretendono di rappresentarlo. Si basano sul presupposto dell’autonomia e della dignità dell’essere umano rispetto ad un Ente supremo. È un approccio legittimo, poiché la materia non è di per sé “inferiore” allo spirito, anche se è una posizione problematica, per la filosofia e la teologia. Negare Dio per affermare l’uomo non è però l’unico modo di affrontare il quesito a cui sto rinviando, né il migliore. A mio giudizio, è necessario partire dal cambiamento dei paradigmi culturali e spirituali, ai quali la modernità ci ha condotti, per cercare il volto di Dio dove pare non esistere più (nella violenza). Se Dio è un liberatore, piuttosto che un oppressore, lo si può forse trovare paradossalmente laddove lo spazio non gli è più riservato come un discutibile privilegio. Dio non potrebbe essersi rifugiato in ambiti ritenuti sospetti agli animi devoti, in ciò che non ha più valore né prestigio, come i miserevoli, i fuggitivi, i pesi morti di una società che vuole bastare soltanto a se stessa.

Pubblicato il 

03.02.06

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