Non saranno le piccole modifiche e i maquillage linguistici, promessi dai membri della Commissione giustizia e diritti con il Rapporto al Gran Consiglio del 7 febbraio a farci cambiare opinione sul Centro educativo chiuso per minorenni, che dovrebbe vedere la luce a Castione. Il Coordinamento è fortemente contrario alla costruzione di un contenitore quale “strumento” (così definito dalla Plr Cristina Maderni) per fare fronte alle problematiche che toccano i giovani. E da una lettura attenta del Rapporto si può dedurre che le affermazioni a favore dell’abolizione del carattere punitivo e carcerario di un Centro previsto tra l’altro «per l’espiazione delle pene, ossia contenere minori con problemi comportamentali dirompenti che vengono sanzionati con pene detentive...» sono delle bugie e nient’altro, tant’è vero che alle pagine 11 e 12, si inzuppa il messaggio con una proposta ai voti del Gc, con tutti gli articoli del disegno di legge elencanti le pene “corporali”, con giovani puniti con segregazione semplice in camera fino a 21 giorni e restrittiva fino a 7 giorni, isolati o estromessi da ogni attività! Questo significa né più né meno trasformare le camere in celle. Rinchiudere un giovane con grossi problemi in una cella in regime di isolamento non può avere alcun valore educativo. In primo luogo siamo motivati a ostacolare il mandato ad un’unica sola fondazione: è fondamentale che il parlamento e il governo optino per un mandato all’Ufficio del sostegno a enti e attività per le famiglie e i giovani quale coordinatore di un gruppo multidisciplinare per un progetto psico-pedagogico al passo con i tempi. Infine contestiamo l’idea di affidare il mandato dell’elaborazione del concetto pedagogico e la gestione del Centro alla Fondazione privata Vanoni (vicina a Comunione e Liberazione). In secondo luogo contestiamo il progetto perché intende vendere all’opinione pubblica la sua ideologia punitiva e repressiva come intervento pedagogico. Per cui ci opponiamo alle argomentazioni del magistrato dei minorenni Reto Medici, che senza contraddittorio condiziona il dibattito pubblico fornendo un quadro del disagio giovanile non attinente alla realtà: esso è dovuto perlopiù a problemi familiari e a una grossa difficoltà dei giovani ad inserirsi in un mondo del lavoro che si mostra sempre più ostile ed è inadatto ad impedire una loro marginalizzazione. È quindi assurdo affermare e far credere alla popolazione che con un soggiorno presso il Centro chiuso di 90 giorni si possano risolvere tutti i problemi. Rafforzare le istituzioni già esistenti, come pure il lavoro di prevenzione in tutte le componenti sociali sarebbe molto meglio che investire oltre 3 milioni in un Centro, la cui gestione e funzionalità sono ancora molto nebulose. In quanto persone professioniste del ramo, invitiamo le deputate e i deputati in Gran Consiglio a non accelerare le decisioni a favore del Centro, ma bensì a riflettere accuratamente sul futuro delle politiche giovanili, magari con il coraggio di optare per vie più consone al ventunesimo secolo. Noi restiamo disponibili al dialogo con chiunque voglia approfondire la complessa tematica del disagio giovanile, alla ricerca di soluzioni alternative a quelle proposte nel messaggio al Gran Consiglio.
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