L’inchiesta sullo scandalo Suva è dunque stata assunta dal ministero pubblico della Confederazione. I giornali ticinesi, al grido di “arrivano i federali”, deplorano che un’inchiesta così prestigiosa sia ora finita negli uffici di Berna, sospettando che il Ministero pubblico della Confederazione voglia in questo modo giustificare pubblicamente la sua esistenza. Può darsi e, dal punto di vista della giustizia ticinese, è certamente un peccato, tanto più che finora l’inchiesta pare essere stata condotta celermente ed efficacemente. Su un punto però la gestione ticinese del caso Suva dà adito a critiche. A fronte infatti di scarnissimi comunicati ufficiali, in cui in sostanza si sono annunciati soltanto gli arresti e le scarcerazioni senza nemmeno i nomi delle persone coinvolte, nelle scorse settimane una serie impressionante di fughe di notizie ha portato sui media cantonali tutti i dettagli dell’inchiesta, mescolando nomi e cognomi, fatti e cifre, ipotesi e verità accertate. Il tutto mettendo in pericolo l’efficacia stessa dell’inchiesta e facendo strame del principio d’innocenza. Gli indagati avranno la loro carriera professionale rovinata, indipendentemente dalla gravità dei reati e dalla loro non ancora dimostrata colpevolezza (tra l’altro non si è ancora accertato se vi sia stata corruzione). Hansjürg Mark Wiedmer, capo dell’informazione del Ministero pubblico della Confederazione, dice ad area che non è compito suo giudicare il comportamento della Magistratura ticinese, aggiungendo però che «noi lavoriamo per i tribunali, non per i media». Traduzione: nelle prossime settimane addio “scottanti rivelazioni” sui giornali. Anche in Ticino si lavora per i tribunali, ma la quantità e la qualità delle fughe di notizie da Palazzo di giustizia è inaccettabile e scandalosa: inammissibile è ad esempio che un avvocato non sappia di un interrogatorio del suo assistito cui non può partecipare in quanto l’inchiesta è ancora coperta dal segreto istruttorio, salvo ritrovarsi il giorno dopo il verbale d’interrogatorio praticamente tale e quale sul giornale. Queste fughe di notizie sono moneta corrente e non soltanto nel caso Suva: troppe persone con il sistema informatico del Ministero pubblico hanno accesso a Palazzo di giustizia a tutti gli atti di qualsiasi inchiesta. È ora che la questione sia risolta. Ma una riflessione critica è necessaria anche per i media ticinesi. Fare del giornalismo d’inchiesta non significa soltanto raccattare le cicche dai corridoi di Palazzo di giustizia. E la libertà di stampa, come ogni libertà, impone anche una responsabilità nell’esercitarla. Il possibile danno arrecato pubblicando troppi dettagli su un’inchiesta ancora in corso, oltretutto in un territorio minuscolo, può essere devastante per le persone coinvolte, specialmente se, a bocce ferme, si rivelerà sproporzionato rispetto alla gravità del reato commesso. Per questo, anni fa, era in uso la prassi di pubblicare i nomi soltanto delle persone poste in stato d’accusa di fronte ad una corte delle Assise criminali. Era una regola forse grossolana, ma aveva almeno il pregio di essere una regola.

Pubblicato il 

07.10.05

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