Caso Pelloni: ferite riaperte

È uscita da un tunnel di cui, per troppo tempo, non scorgeva l’uscita. Pensava che non sarebbe stato facile dimenticare ma avrebbe avuto il tempo per tentare di ricostruirsi una vita interrotta tanti anni fa. Era il 1995 quando Silvia Kessler denunciò il gastroenterologo luganese Sandro Pelloni per reati sessuali. Cinque lunghi anni di attesa per un processo che si celebrò la scorsa primavera e che, dopo un lungo dibattimento, si concluse con la condanna dell’imputato. Si sperava che quella sentenza, si disse allora, potesse ridare coraggio a quelle donne che per paura di una pubblica umiliazione spesso rinunciano a denunciare i soprusi subìti. La difesa accusò certa stampa e il Comitato di sostegno alle donne vittime di violenza sessuale di sostituirsi ai giudici condannando l’imputato anzitempo prima della fine del processo. Ma in quell’occasione riportammo ciò che anche il giudice di allora sottolineò: il linciaggio morale e psicologico a cui le denuncianti vennero sottoposte dalla difesa. Ed ora si riaprono ferite non ancora rimarginate. Il processo s’ha da rifare. Così la decisione della Camera di cassazione che negli scorsi giorni ha rese note le motivazioni di questo nuovo giudizio. E Silvia Kessler dovrà ritornare in aula perché i nuovi giudici hanno riconosciuto che la prima Corte non ha potuto dimostrare quando effettivamente il rapporto ebbe luogo. La presunta accusa della difesa di imparzialità della giuria è stata invece respinta. Così come è da sottolineare il fatto che l’istruzione di un nuovo processo non assolve comunque il medico luganese Sandro Pelloni dai reati sessuali per i quali è stato condannato in prima istanza. Ed ora ancora un doloroso tuffo nel passato per Silvia Kessler che, negli scorsi giorni, pur accusando il terribile colpo ha rilasciato una dichiarazione coraggiosa e ferma. «Sono stupita – ha affermato – dal fatto che la Corte di Cassazione abbia potuto ritenere che un’inchiesta svolta dal Pg Luca Marcellini durante 5 anni e l’impegno di una Corte (...) durante un processo durato oltre tre settimane seguito da 3 giorni in camera di consiglio, sotto l’assiduo controllo di una difesa disposta a tutto, siano sfociati in un arbitrio giudiziario (...)». Sarebbe, a questo punto, umanamente comprensibile se una donna decidesse, stanca, di tirarsi indietro. Ma non è il caso di Silvia Kessler che attinge ancora la forza per sperare. «Ritengo comunque – aggiunge – che questo, anche se difficile da capire, non sarà sufficiente ad intaccare definitivamente la mia fiducia nella giustizia; difenderò la mia dignità e anche quella delle altre donne, pure vittime, che non se la sono sentita di andare allo scoperto. Tornerò dunque in quell’aula per portare avanti la verità». s Ma di tutta questa storia, che qualcuno vuole riscrivere, un elemento sconcertante rimane. Pelloni continua ad esercitare nonostante l’ammissione di aver avuto un rapporto sessuale con la sua paziente. Fatto tabù per la deontologia professionale del settore, eppure le autorità competenti cantonali hanno chiuso tutt’e due gli occhi. Un elemento che non potrà essere insabbiato e che le donne come Silvia, e tutte quelle che la sostengono nella sua coraggiosa battaglia per la giustizia, riporteranno alla luce.

Pubblicato il

14.12.2001 03:30
Maria Pirisi