Tutti i sondaggi, da più di un mese, dicono che una larga maggioranza di francesi – dal 53 al 56 per cento – voterà "no" al referendum sul trattato costituzionale europeo del 29 maggio prossimo. Il primo intervento pubblico del presidente Jacques Chirac a difesa del "sì", giovedì 14 aprile, non ha convinto gli indecisi e un terzo degli elettori continua a dire di non aver ancora scelto. I due terzi affermano ancora di essere «male informati» sul testo della Costituzione: 448 articoli molto tecnici in un mattone di 350 pagine. A differenza del referendum su Maastricht del '92, quando la domanda di fondo poteva essere riassunta in modo semplice – «siete, sì o no, favorevoli alla moneta unica?» – il referendum sulla Costituzione non può essere ridotto a una questione lineare. Difatti, anche il campo del "no" dichiara di essere «europeista», ma di voler un'Europa «diversa» da quella che è stata costruita finora, accusata di aver scelto la strada del liberismo economico, dimenticando le solidarietà e mettendo in secondo piano l'Europa «sociale». Se i francesi voteranno "no", la Costituzione non potrà entrare in vigore e l'Unione europea rimarrà organizzata dal trattato di Nizza, che non permette di gestire un'Europa a 25 paesi (e prossimamente a 27-30 membri). La sinistra di governo rischia di pagare il prezzo più alto di questa situazione confusa e di un'eventuale vittoria del "no". Il Partito comunista e l'estrema sinistra si sono da subito schierati per il "no". Oggi, fanno campagna assieme a una parte del Partito socialista e a dei Verdi dissidenti, che non accettano la decisione delle rispettive direzioni (il Ps ha optato per il "sì" dopo un refendum interno tra iscritti, a dicembre, dove il "sì" aveva sfiorato il 60 per cento). Nel Ps, dei leader di peso come l'ex primo ministro Laurent Fabius o dei rappresentanti delle correnti minoritarie, come Henri Emmanuelli o Jean-Luc Mélenchon, si sono chiaramente schierati a favore del "no". Il Partito socialista, che è la più grossa forza a sinistra, uscito vittorioso dalla elezioni regionali dell'anno scorso che potevano far sperare in una vittoria alle legislative e presidenziali del 2007, rischia di uscire a pezzi da questo scontro interno e di spaccarsi. Stesso rischio per la Cgt, principale sindacato francese. La direzione di Bernard Thibault è scossa, perché ha rifiutato di schierarsi per il "no", mentre la base sembra ormai optare a grande maggioranza per un rifiuto della Costituzione. La Cfdt, sindacato che è testa a testa con la Cgt per ordine di importanza, è invece a favore della Costituzione. Invece, tutti i partiti socialisti europei e la Confederazione europea dei sindacati sono chiaramente schierati a favore del "sì" al trattato costituzionale. Mentre la destra, per convincere i suoi elettori, insiste soprattutto sull'Europa-potenza permessa dalla Costituzione e sul peso della Francia in Europa, che verrebbe diminuito in caso di rifiuto, la sinistra a favore della Costituzione ha difficoltà a far passare il messaggio nel proprio elettorato. Il "no", difatti, stando ai sondaggi è molto più forte a sinistra che a destra, ed è maggioritario anche tra gli elettori socialisti, che smentiscono così la scelta dei militanti. Una difficoltà ulteriore proviene dal fatto che è difficile, per la sinistra di governo, fare campagna assieme ai rivali della destra al potere. Difatti, una delle ragioni della crescita del "no" sta nel rigetto della popolazione verso la politica del governo di Jean-Pierre Raffarin e di Jacques Chirac. L'opposizione all'Europa liberista è il primo argomento del "no". A questa offensiva, la sinistra per il "sì" risponde che, nella Costituzione, viene integrata la Carta dei diritti fondamentali. «Questo trattato prevede dei passi avanti – afferma l'ex presidente della Commisione, il socialista Jacques Delors –, allora perché privarcene? Porta semplicità, alcuni progressi nella democratizzazione e non chiude nessuna porta». Ma il fronte del "no" ribatte che nel testo costituzionale il termine «mercato» è citato 78 volte, 27 volte il termine «concorrenza», mentre l'«economia sociale di mercato» e la «piena occupazione», difese dai socialisti, una volta sola. Inoltre, il «diritto al lavoro» presente nelle Costituzioni dei grandi paesi continentali europei, diventa nel testo europeo un molto ambiguo «diritto a lavorare». Inoltre, la controversia sulla «direttiva Bolkestein» sulla liberalizzazione dei servizi, che porta il nome di un ex commissario olandese, ha dato argomenti al fronte del "no", che vi vede un «simbolo» della deriva liberista dell'Unione: la direttiva, che sarà però ridiscussa dopo le conclusioni del Consiglio europeo del 22-23 marzo scorso (il vertice dei capi di stato e di governo dei 25), intende liberalizzare i servizi senza aver preventivamente armonizzato le norme sociali (c'è timore di dumping sociale, visto che i dipendenti di una società che ha sede in un paese con norme meno vincolanti, in particolare nei nuovi membri dell'Est europeo, potrà lavorare per esempio in Francia senza rispettare le leggi sociali francesi, ma solo quelle del paese d'origine della ditta per cui lavora). Il fronte del "no" attacca sulla difesa dei servizi pubblici, ribattezzati nel testo costituzionale «servizi di interesse economico generale», un termine considerato meno vincolante. Secondo il "no", il testo costituzionale potrà essere rinegoziato su questo punto. Il "sì" ribatte che rinegoziare sarà impossibile, in un'Europa a 25 dove i governi di destra, liberisti, sono maggioranza. Per i difensori del "sì", inoltre, i servizi pubblici, anche se ribattezzati, compaiono per la prima volta in un testo europeo, e ne viene riconosciuto il loro ruolo sociale. Il terzo grande argomento del "no" riguarda le conseguenze economiche che i cittadini e i lavoratori hanno subìto dopo l'entrata in vigore di Maastricht, il cui testo viene ripreso nella Costituzione, scolpendo così «nel marmo» l'indirizzo liberista, che sarà poi difficilissimo rivedere (ci vuole l'unanimità per cambiare anche un solo articolo): delocalizzazioni, smantellamento del diritto del lavoro e dei diritti sociali, precarizzazione del lavoro e forte disoccupazione (in Francia è al 10 per cento). Su questo punto, i difensori del "sì" sono in grande imbarazzo. Difatti, la Costituzione non investe direttamente questi problemi. Anche Chirac era imbarazzato, in televisione, nel rispondere a questo tipo di preoccupazioni. «Non abbiate paura» si è limitato a dire, riprendendo la famosa frase che ha fatto la fortuna di Giovanni Paolo II. Il fronte del "sì" si limita a rispondere con l'argomento dell'Europa-potenza: le delocalizzazioni sono il frutto della mondializzazione, avvengono di preferenza a favore di paesi extra-europei, e solo un'Europa forte potrà mettere in opera un'ambiziosa politica di ricerca e sviluppo, delle politiche industriali adatte, per evitare la fuga degli investimenti. Un paese da solo, per quanto grande come la Francia, ha già perso la battaglia. Poi, altri argomenti europei – come, soprattutto a destra, la questione dell'entrata della Turchia – o nazionali – come, soprattutto a sinistra, la voglia di farla finita con Chirac e il suo governo – favoriscono la crescita del "no". Il contesto economico e sociale, in crisi, spinge nello stesso senso. |