Treni fermi nelle stazioni, autobus e tram allineati nelle rimesse, banche e uffici postali chiusi, scuole deserte, piazze gremite di manifestanti. No, non si tratta di scene provenienti da un paese avvezzo ai conflitti sociali, né di immagini rubate ad un archivio storico; siamo nell’Austria di oggi, la nazione dove, assieme al Giappone, negli ultimi 50 anni si è scioperato di meno. Cosa sta succedendo nella Repubblica alpina, campione della democrazia del consenso, che in passato ha fatto della concertazione tra le parti sociali addirittura un prodotto d’esportazione? Nell’arco di una sola settimana, dal 6 al 13 maggio, oltre un milione di aderenti all’Ögb (Österreichischer Gewerkschaftsbund), la confederazione dei sindacati austriaci, ha incrociato le braccia, per protestare contro il progetto di riforma pensionistica, varato dal governo di centrodestra del cancelliere Wolfgang Schüssel. «I disagi procurati alla comunità dalle nostre forme di lotta – spiega Fritz Verzetnisch, leader dell’Ögb – non sono nulla in confronto a quelli che il governo intende arrecare alle nostre vite.» Il disegno di legge che porta la firma del ministro federale delle Finanze, Karl-Heinz Grasser, giovane alfiere del neoliberismo viennese, e che costituisce un vero e proprio colpo di scure sullo stato sociale austriaco, prevede, tra i suoi aspetti principali, il progressivo innalzamento dell’età pensionabile, dagli attuali 59 anni per gli uomini e 57 per le donne, fino ai 65 anni, l’aumento del periodo di contribuzione da 40 a 45 anni e l’abolizione delle attuali forme di prepensionamento. Inoltre, entro il 2028, dovrebbe essere completamente stravolto il sistema di calcolo pensionistico vigente: invece di prendere in considerazione gli ultimi 15 anni di retribuzioni (o comunque i migliori 15), come avviene oggi, verrebbe considerata la media degli stipendi percepiti durante tutto l’arco della vita lavorativa. Nonostante l’ampio successo delle proteste nei diversi settori del lavoro pubblico (allo sciopero degli insegnanti di martedì scorso, ad esempio, ha aderito oltre il 90 per cento della categoria) e di quello privato, e l’aperto sostegno agli scioperanti da parte degli abitanti dei grandi centri – malgrado i disagi derivanti dalla paralisi dei trasporti pubblici –, Schüssel non sembra intenzionato a resuscitare il modello della concertazione tra governo, imprenditori e sindacati. Un modello che proprio lui, primo cancelliere nell’Austria del dopoguerra, ha volutamente affossato. Il decisionismo di Schüssel affonda le proprie radici nella sorprendente affermazione (un balzo in avanti del 15 per cento) del suo partito, l’Övp, nelle elezioni legislative del novembre scorso che, dopo decenni di predominio socialdemocratico, è tornato ad essere il primo a livello federale. Dopo mesi di inconcludenti trattative con tutti le formazioni politiche presenti in Parlamento, i Popolari hanno dato vita, assieme a un’estrema destra (Fpö) uscita fortemente ridimensionata dalle urne, a una riedizione del primo gabinetto Schüssel, caduto proprio per i contrasti tra il cancelliere e il leader xenofobo Jörg Haider. La nuova posizione di forza dell’Övp, sia all’interno della coalizione che nei confronti di un’opposizione rosso-verde tuttora frastornata da una sconfitta elettorale per molti versi inaspettata, ha permesso a Schüssel di fare carta straccia della strategia del consenso (messa a punto in mezzo secolo di grandi coalizioni tra i socialdemocratici dell’Spö e l’Övp e che neanche la prima edizione del centrodestra aveva posto in discussione) e di imprimere una svolta thacheriana alla propria politica. Ad invitare Schüssel al dialogo, in questa primavera infuocata, si è scomodato persino il presidente federale, Thomas Klestil, politico stimato per l’equilibrio e i toni moderati. Klestil ha suggerito al cancelliere di rimandare all’autunno la presentazione in Parlamento della riforma pensionistica, che Schüssel si ostina a voler sottoporre all’Assemblea entro il prossimo 4 giugno, e di sfruttare i mesi estivi per raggiungere un compromesso con l’opposizione e i sindacati. Ma a riportare il cancelliere al tavolo delle trattative, più che la crescente protesta popolare o gli appelli presidenziali, potrebbe essere proprio l’alleato più scomodo di Schüssel, vale a dire quello Jörg Haider che, lasciata la guida della Fpö nelle mani del più scialbo tra i suoi colonnelli e ritiratosi ufficialmente a governare la Carinzia, non perde occasione per mettere in difficoltà l’esecutivo e già lavora, nemmeno tanto in segreto, ad un ritorno in grande stile sulla ribalta politica federale. A Schüssel, Haider ha detto a chiare lettere che la nuova legge potrebbe fallire a causa del voto contrario di una consistente pattuglia di deputati dell’Fpö e ha invitato il cancelliere a includere nella riforma anche l’armonizzazione dei diversi sistemi pensionistici e la riduzione dei vitalizi dei politici. Richieste queste di carattere demagogico e di ardua realizzazione, visto che, ad esempio, per armonizzare i trattamenti pensionistici pubblici con quelli erogati dagli enti previdenziali privati, è necessaria una modifica costituzionale approvata dai 2/3 dei parlamentari. Ma proprio il ricatto del politico xenofobo potrebbe costringere Schüssel ad accettare l’invito del presidente Klestil a riaprire il tavolo della concertazione. Ritardare di qualche mese l’approvazione definitiva della riforma pensionistica, la cui entrata in vigore è prevista per il primo gennaio 2004, e ammorbidirne gli aspetti più radicali potrebbe servire ad allontanare gli spettri di una nuova crisi di governo e di un ritorno alle urne da cui Schüssel e l’Övp avrebbero solo da perdere.

Pubblicato il 

16.05.03

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