Caro Tita, non è così semplice

In un recente scritto su area l'amico Tita Carloni interviene sulla questione della lista Ps per il Consiglio di Stato con un augurio e una proposta.
L'augurio, che condivido pienamente, è che al congresso di gennaio non si faccia una battaglia di nomi. A due mesi dalle elezioni un confronto tra persone fondato, nella migliore delle ipotesi, sulle qualità individuali e non sugli orientamenti politici di fondo sarebbe effettivamente deprimente. Tra l'altro confermerebbe l'adeguamento anche del nostro partito al desolante pensiero diffuso secondo il quale – per dirla con la Tatcher – non esiste la società, ma esistono solo gli individui. A meno che le differenze politiche di fondo nel Ticino del nuovo millennio non si siano ridotte, forse esagerando, alla questione delle modalità da utilizzare per l'eliminazione dei rifiuti.
La proposta è quella di far coincidere il nostro profilo politico con due obiettivi: la giustizia sociale e la giustizia ambientale perché entrambe «sono battaglie a favore dei deboli». Una scelta apparentemente equilibrata tra vecchi e nuovi diritti, tra tradizione e modernità del socialismo, ma a mio parere una indicazione difensiva, decisamente circoscritta, che arrischia di apparire semplicistica. Lo stesso Carloni riconosce innanzitutto che «i deboli sociali oggi sono tanti» ed è vero. Pensiamo, ad esempio, a quanti "deboli" hanno manifestato il loro dissenso nei confronti della "finanziaria" del centro sinistra in Italia: tassisti e avvocati, farmacisti e artigiani, precari e docenti, governatori e sindaci. A sostenerla sono rimasti solo il governo e la maggioranza compatta (per fortuna) di centro sinistra del Parlamento. Il che la dice lunga su come sia difficile oggi perseguire la giustizia sociale.
Forse la complessità del momento politico, in Ticino come in Europa, apparirebbe più evidente se ai due obiettivi di giustizia di Carloni se ne aggiungessero almeno altri due. Uno ancora difensivo, quello relativo alle libertà individuali confrontate con le nuove minacce integraliste. L'altro invece dovrebbe riguardare la questione di come favorire lo sviluppo della nostra economia necessario per creare posti di lavoro e per garantire quelle entrate fiscali che sono condizione indispensabile (ma non sufficiente) per mantenere e potenziare la giustizia sociale sollecitata dall'aumento quantitativo e qualitativo dei bisogni. È in particolare su questo ultimo punto che la politica, e il partito, appaiono sempre più assenti. In mancanza non solo di un progetto, ma anche di un dibattito serio nella società sulle sfide in atto a sul modo migliore per affrontarle saranno probabilmente pochi individui che decideranno il nostro futuro.
Le domande che aspettano una risposta sono diverse e vanno dai nostri rapporti (in declino) con il resto della Svizzera alle nostre aperture (per non dire "chiusure") nei confronti della vicina Lombardia e, più in generale, dell'Europa, dall'ipotesi del Canton Ticino come una grande Montecarlo alla necessità di sviluppare la formazione e la ricerca (con quali mezzi), dalla politica fiscale alla produttività del settore privato ma anche del settore pubblico (vedi il disinteresse per Amministrazione 2000), dai nostri settori di esportazione (finanze, turismo, logistica, industria a produttività elevata) al rapporto tra investimenti pubblici e spesa corrente, dal problema degli agglomerati urbani al rischio di spaccatura del Cantone in due regioni (Sopra e Sottoceneri) con modalità di sviluppo diverse e non coordinate.
Su queste cose sarebbe importante avere le idee chiare proprio anche per difendere i più deboli. Nei "favolosi" anni sessanta la sinistra combatteva per la pianificazione del territorio, per la programmazione economica e per le nazionalizzazioni. Oggi molte di quelle idee (ma non tutte) sono obsolete. Il guaio è che non sono state sostituite da altre e che in una larga parte della società (e del partito) non è neppure avvertito il bisogno di sostituirle. Il Congresso di gennaio potrebbe essere l'occasione per ribadire la nostra volontà di cercare, assieme ad altri, una risposta a queste domande vitali per il futuro del Cantone. Trincerarsi solo dietro una politica difensiva ci porterebbe fatalmente a diventare subalterni all'interno di progetti disegnati e decisi da altri.

Pubblicato il

01.12.2006 13:00
Pietro Martinelli