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Caro Peter Zumthor
di
Tita Carloni
Tu sei uno dei più bravi architetti svizzeri (ed europei) che operano in questo momento. La tua piccola cappella di Sogn Benedetg a Sumvitg è uno dei monumenti rifondatori della nuova architettura nella Svizzera tedesca, sobria e misurata, dopo gli smarrimenti degli anni ’70 e ’80. Penso anche che il tuo insegnamento all’Accademia di architettura di Mendrisio sia un insegnamento di valore. Ma un fatto mi ha molto preoccupato negli ultimi giorni. A Pavia, nel Castello visconteo, sono esposti i progetti dei tuoi studenti dell’ultimo anno, svolti tutti in territorio pavese. Ho rilevato alcuni titoli e temi che qui riporto: "Rete e terminal di navigazione per i fiumi Po e Ticino", "Centro di ricerche per agricoltura transgenica a Cascinotto Mensa", "Rete di laghi artificiali e canali per la regolazione del flusso idrico", "Acceleratore di particelle nell’alveo del Po", "Autosilo per pendolari a Cava Manara", e così via. Io non dubito che questi progetti abbiano buone qualità soprattutto formali, ma mi chiedo quale territorio nascerebbe se simili impostazioni tematiche passassero dall’esercitazione accademica alla realtà. E mi chiedo anche quale mentalità si crei negli studenti: per esempio che collocare un’isola di cemento armato di seicento metri di diametro per un acceleratore nel letto del Po sia un’operazione non solo legittima, ma addirittura auspicabile; che una pescicoltura con una lunga distesa di vasche per l’allevamento (chissà che pesci!) con strutture in acciaio e lamiera ondulata inserita tra gli argini possa diventare un piccolo capolavoro architettonico. Sinceramente non concordo. Conosco bene quelle regioni perché le percorro in lungo e in largo. Conosco la piena potente del Ticino e del Po perché ho camminato sugli argini rotti e ho visto in cima agli alberi, vicino al ponte della Becca, brandelli di plastica, catini, materassi portati dal fiume dai vicini centri lombardi e piemontesi; conosco le spiagge e le isole bianche lambite dal fiume azzurro e popolate di uccelli e di libellule smeraldine, le querce rigogliose di quanto resta dell’antica foresta planiziale, gli specchi verdi delle risaie della Zelata. E poi, a Pavia, le arenarie consunte di San Michele e di San Pietro in Ciel d’oro, i quadriportici solenni dell’Università, le osterie lungo il Ticino. Nei vostri temi non trovo indizi d’affetto per questi mondi e mi dispiace. Il mio non vuol essere un discorso nostalgico ma soltanto un appello a guardare con occhi più attenti queste ormai assediate meraviglie della natura e della cultura, per farne crescere il rispetto e l’interesse allo studio preciso, fuori dalle solite egoistiche ideologie degli architetti. Oso ancora sperare che la nostra illustre ed antica disciplina riesca a trovare un rapporto più critico ed umile con la realtà che ci circonda.
Pubblicato il
22.06.01
Edizione cartacea
Anno IV numero 22
Rubrica
Architettura
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