Ticino

Dai 12 anni in cella. Sì, proprio così. La galera per i minori in Ticino è già approvata sulla carta, manca ora che il Parlamento approvi il credito per la costruzione dell’istituto di pena. Dopo che lo scorso febbraio è stata consegnata al governo la petizione Vpod contro il progetto, si è costituito un gruppo che intende sensibilizzare i cittadini e i deputati che dovranno votare il messaggio.

 

Il mondo settimana scorsa si è commosso, si è asciugato le lacrime, si è indignato, ha gridato allo scandalo per quei fanciulli, figli di migranti illegali, messi in gabbia in un centro di detenzione in Texas. Lì i minori sono stati raccolti in una struttura recintata, come bestie allo zoo, e guardati a vista come pericolosi criminali. Una testimonianza straziante, diffusa dai giornalisti investigativi di ProPublica, che ha dato voce (e pianto) ai piccoli messicani separati dai genitori dalla polizia di frontiera americana. «Il mio papà, il mio papà!» si è sentito invocare in spagnolo nella registrazione, mentre altri bambini chiedevano della mamma o di poter telefonare alla zia.


Bene, asciughiamoci pure le lacrime che oggi è un altro giorno e l’emozione per quelle immagini si è già attenuata e fra poco farà parte dei ricordi. Del resto, neanche da noi funziona meglio: i minori possono stare anche in carcere, dietro alle sbarre, come insegna il canton Ticino, che sulla base di chissà quali avanguardistiche considerazioni pedagogiche, è intenzionato ad aprire un Centro educativo chiuso per minorenni (Cecm). Di fatto una prigione visto che i minori saranno rinchiusi in celle, posti in una condizione privativa della libertà e sconteranno una pena detentiva. Ah, piccoli delinquenti!
La struttura carceraria dovrebbe sorgere nei piani a Castione-Arbedo e sarà dotata di dieci posti letto per giovani dai 12 ai 18 anni: otto posti per la pronta accoglienza e l’osservazione, un posto per le misure disciplinari e uno per l’esecuzione di pene di privazione della libertà.


Ma qui nessuno piange e grida allo scandalo per quelle gabbie e per il fatto che se i teppistelli saranno esagitati si potranno contenere con cinghie e legarli al letto. E certo, parliamo di delinquenti... di 12 anni cui va raddrizzata la spina dorsale. Oppure di propaganda politica?
Con il messaggio 7086 del 15 aprile 2015 Dss/Di/Decs/Dt, il Consiglio di Stato si è prefisso di adottare la Legge sulle misure restrittive della libertà dei minorenni nei centri educativi, entrata in vigore il 1° gennaio 2018, e di ottenere in parte da Berna i mezzi finanziari necessari per la realizzazione del Centro educativo chiuso per minorenni (Cecm). Il tutto nell’indifferenza generale, quando non nel consenso, anche se una timida voce di dissenso si è fatta sentire lo scorso 1° febbraio quando il sindacato Vpod ha consegnato una petizione di circa 500 firme contro questo riformatorio dal retrogusto ottocentesco.


Discutibile, certo, ma i giochi non sono ancora del tutto fatti. Il Gran Consiglio non ha ancora votato il credito (5,4 milioni per la costruzione dell’edificio e 2,5 previsti per la gestione annuale) ed è per questo che un gruppo attento di cittadini ha costituito il “Coordinamento contro il Centro educativo chiuso minorile”, che ha sede al Circolo Carlo Vanza di Bellinzona. L’obiettivo? Aprire «un dibattito sull’inutilità, la dannosità e la pericolosità di una tale struttura» e invita pertanto istituzioni, gruppi, movimenti, partiti e la stampa a partecipare alla campagna.


Peter Schrembs, il dotto dottore in filosofia, è una delle anime del gruppo e con i suoi modi garbati, ma centrati nel tema, va dritto alla questione: «Il progetto di carcere minorile è ideologico ed è lo specchio di una società violenta: quest’ultima dovrebbe farci paura di più. Nutriamo forti perplessità riguardo al valore pedagogico-educativo e alle misure restrittive della libertà previste. Mettere in carcere un minore è un atto criminale, non educativo: non lo diciamo noi, lo dicono professori di diritto penale, magistrati dei minorenni, sia a destra che a sinistra».


La privazione della libertà non può avere un effetto educativo su un giovane? «Il diritto penale poggia su un principio centrale: l’educazione deve prevalere sulla pena, in particolare proprio nei casi gravi. Nel caso di minorenni che hanno commesso reati, le misure educative e terapeutiche sono il mezzo più efficace di prevenire la recidiva. L’alternativa al centro chiuso esiste: accompagnare i giovani fuori, nel contesto sociale e familiare, rafforzando e incrementando la rete educativa. Le esperienze di trattamento extracarcerario dei giovani che esprimono il proprio disagio con la devianza, dimostra che è questa la strada giusta. Occorre educare, cioè tirar fuori le potenzialità delle persone».


Di fatto, il diritto penale minorile, contrariamente al codice penale, non è un diritto dell’atto, ma dell’autore. La sanzione adeguata non è connessa alla gravità dell’atto e della colpa, bensì al minorenne che ha commesso un reato: si tratta di prenderlo in carico sul piano educativo e terapeutico. «Si ritiene che l’atto criminale sia rivelatore di bisogni specifici del giovane. Le sanzioni di portata educativa hanno lo scopo di mostrargli in modo tangibile che il suo comportamento non è accettato»: non lo afferma Schrembs, non lo scriviamo noi, ma l’amministrazione federale.


Quali limiti vede in un centro chiuso di questo tipo? «È un progetto fondato su un’idea repressiva che sta alla base di queste strutture. Trovo molto pertinente la riflessione di Christian-Nils Robert, professore emerito di diritto penale all’Università di Ginevra, per il quale “non si è mai abbastanza diffidenti nei confronti della prigione. Pensare di ristabilire una normalità comportamentale in un ambiente anormale, mi sembra un’aberrazione”. Io dico che mettere in prigione un minore è un atto vendicativo, che danneggia il giovane. Alfredo Carlo Moro, che era presidente del Tribunale per i minorenni di Roma, spiegava per esperienza che “l’emarginazione temporanea in carcere acquieta un ancestrale spirito di vendetta, ma non risolve alcun problema. È un grosso equivoco ritenere che l’uso della pena carceraria costituisca da una parte una remora alla commissione di reati e dall’altra un valido strumento di recupero”».
Insomma, chiudiamoli in gabbia e diamogli appuntamento alla Stampa fra qualche anno.

Pubblicato il 

27.06.18
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