Nella benestante Svizzera del ventunesimo secolo il caporalato esiste. È una realtà giuridica accertata, stando alla sentenza emessa lo scorso mercoledì dalla Corte delle assise correzionali di Lugano presieduta dal giudice Rosa Item. Il titolare della ditta Concrete e il caporale reclutatore di manodopera sono stati condannati a 8 mesi ciascuno (sospesi con la condizionale per due anni) perché colpevoli del reato di usura. Prosciolto invece l'amministratore della ditta perché all'oscuro del taglieggiamento ai danni degli operai.

La Comsa, dopo l'uscita di scena della consorziante Edim Suisse (recentemente fallita con un buco di 41 milioni di franchi), subappalta alla Concrete parte delle opere di muratura nel cantiere del Nuovo centro culturale di Lugano. In quel momento la ditta ha due dipendenti. Bisogna rimpolpare le fila e in fretta. Il proprietario chiede a un suo conoscente di trovargli muratori nella vicina Penisola. Non è difficile. In Italia l'edilizia è paralizzata e i disoccupati nel settore abbondano. L'intermediario ne trova una decina e promuove un incontro col titolare in un bar nel varesotto. Dopo aver incassato il rifiuto del titolare di dare una provvigione al reclutatore perché «i prezzi di subappalto sono troppo tirati», quest'ultimo gira la domanda agli operai. E loro, in stato di bisogno perché in Italia disoccupato fa rima con affamato visto le irrisorie indennità previste, accettano. Risultato: paghe da 9, 11 e 13 euro invece dei 19 euro netti (al cambio attuale) previsti obbligatoriamente dal contratto collettivo edile. In sostanza, pur di aver un lavoro, gli operai rinunciano al diritto inalienabile del salario stabilito per legge.
Il contesto sociale è fondamentale per capire la portata del reato, ha sottolineato il Procuratore generale John Noseda nel corso della sua requisitoria finale. «Il mondo del lavoro» ha dichiarato in aula Noseda «si distingue per due rapporti sociali: i rapporti interni all'azienda tra lavoratori e proprietari e i rapporti esterni tra le aziende. All'interno delle ditte si confrontano gli interessi contrapposti tra capitale e lavoro, mentre all'esterno la contrapposizione si sviluppa nella concorrenza fra imprese. Nel corso degli anni, la società si è data delle regole di convivenza nell'intento di salvaguardare la pace sociale. I contratti collettivi soddisfano questi scopi: regolano i rapporti interni aziendali e quelli esterni consentendo la concorrenza leale tra le imprese. Il diritto penale sancisce chi viola queste regole perché il reato oggetto di questo dibattimento produce due effetti nefasti: la concorrenza sleale fra imprese e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo». Per questo, il procuratore generale ha chiesto un anno di pena, senza opporsi a un'eventuale sospensione condizionale. Una richiesta che potrebbe essere considerata mite se rapportata agli effetti prodotti dal reato. Tanto più che ai due imputati la giuria ha ridotto la richiesta di pena a 8 mesi, sospesi condizionalmente per due anni. Va detto che i due imputati sono stati condannati per usura e non caporalato. E questo per un fatto molto semplice. Il caporalato non è un reato contemplato dal codice penale svizzero. Fino allo scorso anno non lo era neanche in Italia. Ma l'enorme diffusione della piaga nell'intero paese, ha indotto il governo a introdurlo nel luglio dello scorso anno. Le pene previste vanno da un minimo di cinque anni a un massimo di otto di carcerazione. Vedremo se in Svizzera la piaga si diffonderà velocemente necessitando l'introduzione di una tale normativa oppure se la società riuscirà a reagire per evitarne la propagazione.

La tela tesa con pazienza

Luca Bondini, il funzionario sindacale di Unia che si occupa del cantiere del nuovo centro culturale di Lugano, ha il sentore che qualcosa non vada per il verso giusto per gli operai della Concrete. È una sensazione istintiva, fondata sulla sua decennale esperienza, ma ancora tutta da verificare. Il primo passo è la costruzione di un rapporto di fiducia con gli operai partendo dal nulla, essendo questi ultimi alla loro prima esperienza nei cantieri ticinesi e dunque per la prima volta confrontati ai sindacalisti di Unia.
Ad affiancare Bondini in questo delicato compito si aggiunge Enrico Borelli, attuale segretario regionale di Unia. Tassello dopo tassello, cresce il rapporto di fiducia tra operai e sindacalisti. Determinante è la costante presenza sindacale sul cantiere e la qualità degli interventi a tutela dei diritti degli operai. Lentamente i muratori della Concrete iniziano a confidarsi coi sindacalisti. Dai loro racconti emerge il quadro inquietante del caporalato. Un'apertura non scontata, se si tiene conto dello stato di bisogno di lavorare degli operai sfruttati. La paura di perdere il lavoro, anche se malpagato, è forte. Prevale però la dignità di uomini a cui spettano dei diritti conquistati nei decenni da lotte precedenti.
La questione rimane però complessa. Le testimonianze degli operai rese in procura, seppur importanti, non sono sufficienti a inchiodare i caporali. Ci vogliono le prove. Le buste paga apparentemente regolari e i versamenti bancari corrispondenti mascherano materialmente il taglieggiamento. E qui, il colpo di fortuna. Il lavoro certosino della magistratura viene premiato dai filmati della videosorveglianza dell'istituto bancario dove si vedono il caporale e il titolare dell'impresa prelevare il contante dal bancomat e, dopo averne trattenuta una parte, ridistribuirlo agli operai.
Arrestato, il caporale confessa il taglieggiamento. Il titolare invece continua a negare un suo coinvolgimento. Confida in un ritrattamento delle testimonianze dei suoi operai. Al riguardo, è significativo uno stralcio della lettera scritta dalla moglie al titolare mentre era in detenzione preventiva, resa pubblica dal Procuratore durante il processo. «I ragazzi sanno già come muoversi. Si stanno cagando addosso che perdi il lavoro». Ergo, se salta il contratto alla Concrete, salta anche il loro posto. Unia però si attiva per scongiurare questa ipotesi. Le testimonianze dunque reggono, e sommate alle prove video e le ammissioni del caporale, portano alla condanna di otto mesi per entrambi gli imputati.

Responsabilità subappaltata

Il caporalato, la piaga che si pensava relegata a un passato remoto in Svizzera, torna dunque d'estrema attualità. Il progresso è un falso progresso, scrisse Pier Paolo Pasolini nel lontano 1975. Una verità anche nel ventunesimo secolo.
A dire il vero, ci fu un precedente recente. Lo scorso anno, la magistratura appurò l'esistenza del caporalato nel caso di operai assunti da un'impresa di Malvaglia tramite un "intermediario" (reo confesso) che s'intascava il 10 per cento del salario degli operai reclutati. Anche in quel caso la segnalazione alla procura arrivò da Unia nel 2010. La Società svizzera degli impresari costruttori liquidò la denuncia sindacale con un titolo eloquente: «Caporalato: una bufala di Unia?» Come detto, la magistratura verificò che di bufala non si trattava.
E siamo a due casi accertati dalla procura. Ora si attende il terzo, col processo ai responsabili della ditta Ipi sempre relativo al cantiere del nuovo centro culturale luganese.
La figura del caporale, per quanto abietta, è il penultimo anello di una catena di profitto. Interessante sarebbe ricostruire la filiera, indicandone i vari gradi di responsabilità.
Il cantiere del nuovo centro di Lugano fu appaltato dal comune in base al criterio del minor prezzo. 40 milioni di franchi era lo scarto tra l'offerta dei due concorrenti classificatisi terzo e quarto e la vincitrice Comsa-Edim. Poco meno di una decina di milioni invece la distanza col secondo classificato. E poiché i milioni non sono noccioline, i dubbi sui bassi costi in quel cantiere sono rimasti intatti. La Comsa ha subappaltato i lavori di muratura ha una ditta, Concrete, che conta due dipendenti. La posa del ferro e carpenteria li ha subappaltati a una ditta, Ipi, che in quel momento ha zero dipendenti. Per carità, è un sistema impresa già visto in altri cantieri, vedi Vf international di Stabio. Ma il municipio di Lugano, presieduto da un sindaco-architetto, quando avvallava i subappaltanti della Comsa quale committente, giocava alle tre scimmiette: non vedo, non sento e non parlo?

Pubblicato il 

09.11.12

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