«Buongiorno signor Pillard, vorrei chiederle perché nei comunicati avete detto che la carta regalo da 800 franchi fosse un aumento del salario? Non è vero». Seconda domanda, a differenza della prima posta in francese, questa volta è in tedesco: «Lo sa signor Pillard che con un terzo degli utili dello scorso anno, avreste potuto dare un aumento a tutti i dipendenti di 200 franchi al mese?». Il signore in questione è Luc Pillard, responsabile risorse umane del gruppo Coop, uno dei più importanti datori di lavoro del Paese con 95mila impiegati. Le due questioni sono solo alcune estrapolate dal fuoco di fila di domande a cui Pillard si è sottoposto lunedì 6 febbraio a Basilea. Di fronte a lui, un centinaio di dipendenti provenienti da tutta la Svizzera, facenti parte dei gruppi professionali di Coop organizzati regionalmente nel sindacato Unia.
Dallo stupore al dialogo L’idea del confronto è nata dallo stupore dell’alto dirigente al rifiuto delle organizzazioni sindacali di sottoscrivere la proposta aziendale di aumento salariale per il 2023. La proposta, diventata ugualmente effettiva anche in assenza della firma sindacale, è stata di un aumento generalizzato del 2% per i salari inferiori ai 4.500 franchi. Per gli stipendi superiori, l’eventuale aumento sarebbe stato deciso dal superiore diretto. A tutti invece è stato consegnato un buono regalo aziendale da ottocento franchi. L’insoddisfazione dei dipendenti nasce dal fatto che la retribuzione del lavoro prestato vale meno dell’anno precedente. L’inflazione del 3,3% ha corroso il potere d’acquisto. Uno stipendio di quattromila franchi di gennaio 2022, oggi equivale a 3’868 franchi di possibili acquisti. In realtà, varrebbe ancor meno. L’artificio statistico di escludere i premi cassa malattia, abbellisce non poco il dato ufficiale dell’inflazione elvetica. Ecco perché Syna, la Società svizzera degli impiegati di commercio (Ssic) e Unia, il sindacato con la più alta rappresentatività tra il personale di Coop, non hanno sottoscritto la proposta di aumento della dirigenza aziendale. A spingere verso il rifiuto è stata la base militante dei dipendenti Coop affiliati a Unia, decisamente insoddisfatti del magro aumento. La mancata firma sindacale ha un valore simbolico, tant’è che Coop ha proceduto ugualmente all’aumento da loro deciso. Seppur simbolico, il rifiuto ha però avuto l’impatto di lasciar sconcertati i vertici aziendali. A quel punto, si è fatta strada l’idea di un incontro faccia a faccia coi gruppi professionali dei venditori Coop organizzati nel sindacato Unia e il responsabile delle risorse umane. Un confronto a cui Pillard si è sottoposto volentieri, fatto piuttosto raro e insolito nelle grandi aziende elvetiche. Alla Migros no Il concorrente diretto di Coop, la Migros, da vent’anni si rifiuta di sottoscrivere contratti coi sindacati. Figurarsi confrontarsi direttamente con lavoratrici e lavoratori organizzati collettivamente, come accaduto lo scorso lunedì a Basilea. All’appuntamento col manager non hanno voluto mancare un centinaio di dipendenti provenienti dalle filiali Coop di tutto il Paese. Ben nutrito il gruppo ticinese, con una dozzina di rappresentanti partiti all’alba in torpedone. Va specificato che ai dipendenti Coop è riconosciuto da contratto il diritto a cinque giornate di congedo per attività sindacale. Anche in questo caso, Coop costituisce un’eccezione nel panorama della vendita in Svizzera. Migros e gli altri grandi gruppi non riconoscono i sindacati, figurarsi l’attività sindacale dei collaboratori.
Dall’alba al tramonto L’apertura al confronto col sindacato di Coop non equivale a condizioni di lavoro esenti da problemi. Lo ha constatato di persona Pillard. «Signor Pillard, le vorrei raccontare la mia giornata tipo. Il mio lavoro inizia alle sei del mattino e finisce alle 19.15 della sera. Ho tre ore di pausa. Abitando a 50 chilometri, non rientro a casa perché perderei troppo tempo e denaro. A conti fatti, esco di casa alle cinque e rientro dopo le 20. Ho cinquant’anni e lo scorso anno ho avuto un incidente. È stato per stanchezza. Le sembra giusto?» ha chiesto un’impiegata ticinese. No, le ha risposto il capo del personale, sottolineando quanto la nuova norma inserita nel Ccl rinnovato dovrebbe proibire situazioni del genere. Dovrebbe. Il condizionale è d’obbligo. A volte, la distanza tra la pratica e la teoria può rivelarsi abissale. I gerenti, dovendo rispettare obiettivi economici e il monte ore d’impiego a disposizione per filiale, non riescono a rispettare il Ccl. Un esempio concreto di come si traduca nella vita reale la teoria, lo ha fornito un lavoratore della Svizzera tedesca intervenuto in sala: «Lo scorso anno, il gerente della nostra filiale aveva 900 ore mensili su cui far giostrare i collaboratori. Quest’anno ne ha 850. Qualcuno di noi avrà meno ore, quindi minor stipendio. Gli altri invece, vedranno il lavoro crescere per coprire le stesse mansioni che si facevano con 900 ore».
L’altare della produttività Nel suo intervento, il lavoratore ha toccato il nervo scoperto della produttività. Leggendo i bilanci di Coop in un’ottica storica, si osserva nel tempo una costante crescita di superfici di vendita e di filiali a fronte di una riduzione del personale alla vendita. Cinque anni fa, nel comparto vendita, i collaboratori erano 7.300 in più di oggi. I punti vendita erano un centinaio in meno. In soldoni, nei supermercati della Coop vi lavora meno personale fruttando maggiori utili aziendali. È quel che si dice la produttività dei lavoratori, accresciuta parecchio in Coop nell’ultimo decennio. Letta nell’ottica della produttività accresciuta e del calo del potere d’acquisto, la domanda posta da un lavoratore assume un significato pieno. «Avendo raggiunto la fascia salariale massima nella mia categoria, da diversi anni non ricevo aumenti. A causa della perdita del potere d’acquisto, il mio lavoro oggi vale meno di una decina d’anni fa. Lei ritiene sia il modo giusto di valorizzare il collaboratore, d’incentivarlo a continuare ad impegnarsi nel suo ruolo?» ha chiesto un dipendente. Una problematica riproposta da altri colleghi nel corso dell’incontro. Se il carico di lavoro cresce perché il personale diminuisce, e non ricevi aumenti mentre il potere d’acquisto cala, semplicemente vuol dire che il tuo lavoro vale meno di qualche anno fa. Questa la sintesi degli interventi in sala. Tema salari a parte, se dovessimo riassumere le domande indirizzate al manager di Coop, certamente il tema del tempo di lavoro occuperebbe un posto preminente nella graduatoria. Lo spezzettamento orario all’origine di giornate lavorative infinite, la carente capacità pianificatoria sul medio-lungo termine, la precarietà di reddito e di tempo dei contratti 8-20 ore settimanali, sono stati al centro delle problematiche espresse dalla sala. I risultati Non potendo riepilogare le risposte date da Pillard, possiamo darvi le nostre sensazioni sull’inedito confronto. Abbiamo avuto la netta impressione che l’alto dirigente aziendale abbia ascoltato con interesse i racconti dei lavoratori, mai trattandoli con sufficienza. Col riproporsi di alcune tematiche nei vari interventi, abbiamo colto un certo stupore nel volto del dirigente nell’apprendere la visione dei dipendenti su quel preciso argomento. Nelle grandi aziende, i rapporti diretti coi dipendenti si riducono a incontri rituali solitamente viziati da una formale ipocrisia. La comunicazione diretta raramente passa. Molti dirigenti sono convinti che le rivendicazioni portate al tavolo delle trattative non provengano dai lavoratori ma siano frutto di strumentalizzazioni dei sindacalisti. Questa volta, il responsabile risorse umane di un grande gruppo ha potuto constatare di persona quali siano le criticità vissute dai dipendenti senza filtri d’ipocrisia. Non sappiamo quali risultati produrrà, ma di certo è stato un esercizio di democrazia sul posto di lavoro raramente riscontrabile in Svizzera. Meno dipendenti, più cifra d’affari Nel 2022, la Coop ha aggiunto 5 supermercati alla sua rete vendita impiegando 447 venditori in meno. I supermercati rimangono il cuore degli affari del gruppo, con 12 miliardi di franchi di cifra d’affari realizzati sui complessivi 20 miliardi di fatturato annuo del ramo vendita al dettaglio. L’intero gruppo ha fatturato 39 miliardi realizzando un utile netto di 562 milioni, una trentina in più del 2019, anno prepandemico quando i collaboratori nel commercio al dettaglio erano 7.300 in più attivi in un centinaio di punti vendita in meno di oggi. La famosa produttività dei dipendenti, resa evidente dalla costante diminuzione del personale, a fronte di punti vendita e ricavi in crescita. Nell’articolo sopra, i protagonisti sono gli addetti alla vendita, poiché interessati dal Ccl aziendale. Circa la metà dei 95mila dipendenti del gruppo Coop è invece impiegata nella produzione e commercio all’ingrosso ed è tutelata da Ccl specifici. Produzione e commercio all’ingrosso hanno realizzato 15,8 miliardi della cifra d’affari del 2022, poco meno della metà dell’intero fatturato del gruppo, cresciuto di 1,7 miliardi sul 2021 e quasi di 4 miliardi rispetto all’anno prepandemico 2019. Negli ultimi cinque anni, il gruppo Coop ha realizzato 2,66 miliardi di franchi di utile netto. |