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Canapa, si alza il tiro
di
Stefano Guerra
In attesa della revisione della Legge federale sugli stupefacenti che con ogni probabilità sfocerà nella depenalizzazione del consumo e nella regolamentazione della produzione di canapa e dei suoi derivati, in Ticino la magistratura continua a seguire la linea dura. Il procuratore generale aggiunto Antonio Perugini ha alzato il tiro andando a colpire i vertici della sezione Ticino del Coordinamento svizzero della canapa (Csc) nell’ambito dell’inchiesta “Indoor” che la scorsa settimana - oltre al sequestro di chili di erba e di apparecchiature per la coltivazione nel Luganese e nel Mendrisiotto - ha portato all’arresto del presidente del Csc Ticino Andreas Arnold, del portavoce Carlo Stinca e di altre tre persone (fra cui il consigliere comunale leghista di Mendrisio Renato Zanotta). Quattro giorni prima del blitz, dalle colonne del settimanale domenicale Il Caffè il criminologo Michel Venturelli aveva invitato il capo del Dipartimento delle istituzioni Luigi Pedrazzini ad «ascoltare i canapai» e aveva avvertito che «facendo astrazione “dei cattivi” il Dipartimento si espone di nuovo al rischio di creare una regolamentazione “astratta”, dunque inapplicabile». Parole sprecate. L’operazione di polizia di giovedì 13 marzo (una delle più imponenti per spiegamento di mezzi da quando la magistratura ha cominciato a occuparsi della proliferazione dei canapai) è andata a toccare proprio le persone che Michel Venturelli - profondo conoscitore del mercato della canapa in Ticino - indicava quali auspicabili interlocutori del Gruppo di lavoro interdipartimentale che si occuperà della questione. L’operazione “Indoor” era stata preceduta nelle scorse settimane da indiscrezioni lasciate filtrare alla stampa dalla magistratura e riguardanti inchieste avviate da tempo, ora concluse oppure ancora in corso. Una delle più innovative è quella coordinata dalla procuratrice pubblica Rosa Item. Denominata “Società”, l’inchiesta intende far luce sull’assetto istituzionale del mercato della canapa in Ticino e in particolare su una società mantello creata di recente nel Luganese per lo smercio all’ingrosso di derivati della canapa. L’8 febbraio il Corriere del Ticino riportava le dichiarazioni del pp Antonio Perugini che parlava di una novità nelle inchieste giudiziarie legate al mondo della canapa in Ticino: ad essere rinviati a giudizio per infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti (l’aggravante è per l’elevata cifra d’affari) sono anche alcuni coltivatori di canapa, non più solamente i gerenti dei negozi. Venerdì 14, proprio il giorno successivo l’operazione “Indoor”, il consigliere di Stato Luigi Pedrazzini replicava dalle colonne del Popolo e libertà all’invito rivoltogli la domenica precedente da Michel Venturelli: «Piaccia o non piaccia al signor Venturelli - scrive uno stizzito Pedrazzini - non esistono oggi le condizioni per associare i canapai alla strategia del Cantone. Forse un domani la situazione cambierà, purtroppo; a livello federale sembra infatti acquisita la ’legalizzazione’ del consumo di canapa quale sostanza stupefacente (e perciò del commercio e della produzione). Staremo a vedere». In attesa di altre operazioni anti-canapa annunciate come imminenti dalla polizia cantonale (Corriere del Ticino, 18 marzo), magistratura e polizia continuano a muoversi in un vuoto giuridico. La revisione della Legge federale sugli stupefacenti non è per domani, e il Tribunale federale ha accordato l’effetto sospensivo a un ricorso inoltrato poco meno di cinque mesi fa dal Csc contro la Legge sulla coltivazione della canapa e sulla vendita al dettaglio dei suoi prodotti (Lcan) approvata dal Gran consiglio. «È sicuramente grave che oggi in Ticino circoli tanta erba. Ma ancor più grave è che non sia chiaro cosa è lecito fare e cosa no. Si è persa la certezza del diritto», dice il criminologo Michel Venturelli. «Per chiudere tre canapai - prosegue Venturelli - la scorsa settimana sono state utilizzate ingenti risorse. A questo punto la domanda è: le autorità sono in grado di ristabilire la legalità su tutto il territorio cantonale come è stato fatto in molti cantoni svizzeri? È importante capirlo perché in democrazia il principio fondamentale è e deve essere: o tutti o nessuno. Insomma, non è logico che se io e te domani apriamo un canapaio, io finisco in carcere e tu no». Anche dalla Svizzera interna si guarda con perplessità alla selettività con cui in Ticino la magistratura affronta la questione canapa. Per Andrea De Marmels, consulente legale del Coordinamento svizzero per la canapa, quello che non si riesce a capire «sono i criteri utilizzati dalla magistratura ticinese per decidere se intervenire oppure no». Alla luce delle nuove disposizioni federali in arrivo «si dovrebbe colpire soprattutto i minorenni e quelli che vendono all’estero - rileva De Marmels -. Invece si ha la sensazione che la magistratura colpisca nel mucchio: la scorsa settimana - sulla scia di un forte allarmismo e nell’imminenza delle elezioni cantonali - hanno deciso di chiudere il Green Moon di Lugano, canapaio che si atteneva strettamente al nostro codice deontologico». Il fenomeno canapai cominciò ad attecchire in Ticino negli anni ’96-’97. «Erano gli anni durante i quali la magistratura annegava negli incarti arretrati, ed è comprensibile che allo sforzo richiesto non si potesse aggiungere l’impegno necessario per chiudere negozi che vendevano cuscini odorosi», concede Michel Venturelli. Quando però la magistratura decise di intervenire, in Ticino c’erano già decine di canapai. Oggi come allora, con i mezzi a disposizione, è impossibile arrestare il fenomeno e neppure arginarlo. «Quando la magistratura intervenne fece incarcerare e condannare persone per azioni che decine di altre persone stavano compiendo in quel momento, e compiono tutt’oggi - rileva Michel Venturelli -. In questo senso ho la sensazione che, a partire da quel periodo, la legge non è più stata uguale per tutti. Con questo non voglio dire che le autorità abbiano commesso solo ingiustizie, ma sono sicuro che si sono consumate anche delle ingiustizie che probabilmente si sarebbero potute evitare». Allo stato attuale delle cose, con le forze a disposizione, «difficilmente le autorità riusciranno ad aver ragione sul business legato alla coltivazione e alla vendita di canapa senza far collassare l’intero sistema giudiziario del cantone: dal punto di vista criminologico sarebbe da kamikaze», avverte Venturelli secondo cui le vie percorribili per trovare una soluzione sono due: «o le autorità trovano i mezzi necessari per far rispettare la legge com’è attualmente, oppure adottano una strategia per ridurre i danni che la politica attuale, in senso largo, ha fatto e sta facendo nel nostro cantone. Questo in attesa della normativa federale che si sta preparando a Berna».
Pubblicato il
21.03.03
Edizione cartacea
Anno VI numero 12
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