Campanilismo italiano anche d’esportazione

Tra i grandi temi che hanno appassionato anche la comunità italiana in Svizzera, in questa calura estiva, vi è stata sicuramente la vicenda della "spending review" ovvero, per dirla con la lingua di Dante, della revisione della spesa pubblica in Italia messa in moto dal governo Monti. In particolare, in emigrazione, a parte i pesanti tagli subiti dai capitoli di spesa a favore degli italiani all'estero, si è seguita con interesse la discussione sull'abolizione o no delle 110 province in cui è suddivisa oggi l'Italia, ritenute dai più autorevoli commentatori, ed anche da moltissimi politici, come dei carrozzoni ormai inutili e costosi per i  contribuenti. Un'ipotesi lasciata poi cadere, da parte del governo, quando si è accorto che una tale decisione comportava una modifica della Costituzione, optando per un più semplice riordino territoriale di questi enti riducendone drasticamente il loro numero attraverso l'accorpamento delle province più piccole secondo due criteri: le nuove province non potranno avere un numero di abitanti inferiore a 350.000 con una superficie 2.500 chilometri quadrati. Questi criteri, la cui applicazione è stata peraltro demandata alle singole regioni, faranno si che ben 67 delle attuali province saranno a rischio di chiusura e destinate ad accorparsi con altre limitrofe.
Non sia mai! Immediatamente, da nord a sud e fino alle isole, si è scatenato in Italia il campanilismo più esasperato a difesa del propria provincia perfino con offerte di compravendita di interi comuni da una provincia all'altra pur di poter rientrare nei parametri richiesti. Soprattutto in Toscana, la regione in cui probabilmente è stato inventato il campanilismo (non per niente proprio a Livorno è nato un mensile satirico di notevole successo come il Vernacoliere) e non solo tra le singole province ma anche tra comuni e, addirittura, tra un rione e l'altro dello stesso comune come testimonia, per esempio, il Palio di Siena. Ebbene, in questa regione (che il sottoscritto conosce molto bene essendone originario e frequentandola spesso), composta attualmente di dieci province, ci si sta orientando verso una soluzione che prevede tre sole province: quella Metropolitana con Prato, Pistoia e Firenze (capoluogo); quella della Costa con Massa, Lucca, Livorno e Pisa (capoluogo) e, infine, quella del Sud con Grosseto, Arezzo e Siena (capoluogo).
Ovvero una ipotesi di soluzione che ha innescato tutta una serie di proteste e risvegliato gelosie e polemiche vecchie e nuove poiché, specie nella nuova provincia della Costa, metterebbe insieme lucchesi con pisani, quando in Lucchesia storicamente si è sempre detto e ritenuto che sia "meglio un morto in casa che un pisano sull'uscio", ed i pisani con i livornesi che, da sempre, li prendono in giro chiamandoli "barrocciai" e definendo il simbolo di Pisa (la Torre pendente) "il campanile storto", oppure, dopo il disastro di Chernobyl, scrivendo sul Vernacoliere "Nuvola atomica. Primi spaventosi effetti delle radiazioni: è nato un pisano furbo". Mentre per i pisani "Livorno è un grissino fatto da una strada, una ferrovia ed un bagnasciuga" ed il loro sogno è "svegliarsi a mezzogiorno guardare verso il mare e non vedere più Livorno". Ed a proposito dei lucchesi e della loro notoria avarizia, un po' tutti in Toscana raccontano "lo sai perché a Lucca non ci sono mai assassini? Perché il delitto non paga!".
Ma dopo questa digressione casareccia, come ricordavo all'inizio, queste ipotesi di accorpamenti di molte delle attuali province italiane sono seguite con apprensione non solo dalle comunità locali coinvolte (pure per il timore di perdere centri di potere e posti di lavoro: la Prefettura, il Tribunale, la Questura, i comandi provinciali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, la Soprintendenza ai beni artistici ecc.), bensì anche in emigrazione e con molta preoccupazione. Infatti nelle comunità italiane all'estero è molto diffuso l'associazionismo a carattere territoriale a seconda delle località di provenienza e quindi, a parte il campanilismo, con questo riordino delle province si teme di perdere non tanto le proprie caratteristiche etniche quanto i riferimenti ed i legami tradizionali che finora molte di queste associazioni avevano con le rispettive amministrazioni provinciali. Ma anche questo è evidentemente un ulteriore segno del tempo che cambia e che sta ormai stravolgendo, di anno in anno e sempre di più, il vecchio e tradizionale mondo dell'emigrazione italiana.

Pubblicato il

31.08.2012 12:30
Dino Nardi