Caino e Abele, Dio e lo tsunami

Il passaggio dall’anno vecchio a quello nuovo è stato funestato dalla catastrofe provocata dal maremoto nel Sud-Est asiatico. A centinaia di migliaia si sono contati i morti e i dispersi, sono stati milioni gli sfollati e i senzatetto, la fattura per i danni registrati ammonta a miliardi di dollari. L’onda anomala non ha portato però soltanto distruzione e disperazione, ha prodotto pure una corsa inedita alla solidarietà: non si erano sinora mai raccolti tanti soldi in poche settimane, nemmeno nella solitamente generosa Svizzera, a favore delle popolazioni colpite dalla devastazione giunta dall’oceano. L’evento è diventato presto l’argomento che ha catalizzato quasi completamente l’attenzione dei mezzi di comunicazione, anche alle nostre latitudini. E non poteva essere diversamente, poiché quanto è capitato in Asia ha preso in contropiede la gente del posto nella decina di paesi toccati dalla tragedia, insieme alle migliaia di vacanzieri alla ricerca di riposo e svago in quelli che erano dei lidi da sogno. Inoltre, il cataclisma naturale ha, almeno in parte, messo a nudo l’altra faccia della medaglia di quei luoghi ambiti: gli abusi edilizi, lo sfruttamento di migliaia di persone come personale di servizio negli alberghi e nei villaggi di vacanza, il turismo del sesso, il divario scandaloso tra ricchi e poveri. Per tutto ciò sembra però non esserci rimedio, in quanto al momento attuale la principale preoccupazione degli operatori turistici, dei governi e delle agenzie internazionali è la ricostruzione delle infrastrutture distrutte dal mare infuriato. Come spesso accade nei casi di calamità, gli aiuti dall’estero sono erogati a determinate condizioni e, in genere, non contemplano il miglioramento del livello di vita delle fasce di popolazione più sfavorite. Si sa che al pari del sistema economico mondiale, il turismo globalizzato non fa rima con giustizia sociale. Perciò temo che gli effetti rovinosi dello tsunami asiatico non insegneranno nulla e non serviranno a scuotere le coscienze di quanti hanno tutti gli interessi a far sì che, laggiù come in altre zone, le cose non cambino o tornino al più presto come prima. A questo punto resta da fare una considerazione. Nell’affannosa caccia al significato simbolico del finimondo dello scorso 26 dicembre, accanto alle spiegazioni scientifiche del fenomeno e alle polemiche sui mancati avvertimenti delle autorità competenti, è stato a più riprese tirato in ballo Dio. Come se fosse lui il responsabile dell’intero disastro! In realtà, credo che lui c’entri ben poco: figuriamoci se ha il tempo di guastare quel che nella Bibbia ammira come bello, perché da lui voluto e creato! Se dei responsabili vanno individuati, forse bisognerebbe cercare tra i tanti uomini che continuano ad approfittare impunemente – in Asia e altrove – dei loro simili, tollerando e giustificando inique strutture di bagarinaggio. La domanda di Dio a Caino, «Che hai fatto di tuo fratello Abele?», potrebbe anche essere rivolta a ognuno di noi.

Pubblicato il

21.01.2005 13:00
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