Da alcuni anni ho preso a mettere da parte piccoli elettrodomestici in crisi, e lampade rotte. Due bollitori d’acqua, uno di vetro e uno di metallo. Una delizia di lampada da ufficio che all’improvviso ha cominciato a dare i numeri. Una piantana da soggiorno, praticamente nuova, che stranamente però manda in corto circuito il mio appartamento. Due aspirapolvere che funzionano, ma ogni tanto fanno le bizze. Oggetti che mi piange il cuore buttare, oltre alla perdita di tempo di doverli portare nel centro di raccolta per i rifiuti speciali. Ho allora in cantina uno scatolone dove raccolgo quanti mi sembra meritino una seconda opportunità, con l’idea di portarli da un gentile signore che a Berna aggiusta qualunque cosa, o almeno ci prova, in cambio di un piccolo contributo economico.

 

Certo, quando passo dalla cantina e vedo quello scatolone mi sento inadempiente, mi chiedo se è un caso di latente sindrome da accumulatrice seriale o forse di procrastinazione, e rimugino che dovrei davvero impormi una scadenza oltre la quale gettare la spugna. Eppure passano i mesi e non riesco a buttarli, perché il mondo dell’obsolescenza programmata è centrale per gli affari nostri. 

 

La vita quotidiana costerebbe meno, se potessimo come si faceva una volta contare sui nostri piccoli elettrodomestici per decenni, invece di doverli periodicamente sostituire. Sono montagne e tonnellate di rifiuti speciali inquinanti, il cui processo di smaltimento consuma acqua e corrente, insomma uno spreco a tutto tondo e un insulto al pianeta già così brutalmente tartassato dalla nostra modernità impazzita. Seguo allora le vicende dei Repair Cafés, le iniziative di interesse pubblico che cercano di arginare il problema. Si svolgono in genere nel weekend, si fondano sul lavoro volontario e a chi porta oggetti da riparare non viene richiesto di pagare alcunché, o in qualche caso un contributo molto modesto. Ad aggiustare ci sono signori anziani col pallino della meccanica e dell’elettricità, bella gioventù abile a smanettare con il computer, persone di tutte le età armate di macchine da cucire, cacciaviti, avvitatori, e via riparando. 

 

Il Konsumentenschutz, l’associazione svizzera-tedesca per i diritti di consumatori e consumatrici, ha ora tirato le somme sui risultati di ottobre. È il mese nazionale della riparazione, accoppiato al 19 ottobre che per la nona volta è stato celebrato invece a livello internazionale come il giorno per gli oggetti che non te la senti di buttare, ma che non funzionano più come dovrebbero e quindi vale la pena almeno provare a farli sistemare. Il 70 per cento dei 1.328 oggetti portati ai 50 eventi che si sono svolti nel nostro Paese il mese scorso ha potuto rinascere a nuova vita, ed è un numero francamente impressionante. Quasi la metà era costituita da piccoli elettrodomestici. Il 18,7 per cento: tessili e oggetti in pelle. 10,5 per cento meccanica e metalli. Molte persone hanno naturalmente portato telefoni cellulari, tablet, computer, insomma la nostra vita digitale quotidiana che costituisce un pilastro dello spreco che inquina. Aggiunge il Konsumentenschutz che sono ormai 225 gli eventi di questo tipo in Svizzera, per un fenomeno evidentemente in crescita costante. Pertanto, ho deciso. La prossima settimana mi occuperò di quello scatolone. 

Pubblicato il 

12.11.24

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