La "Svizzera bene" ha preso male, molto male, quasi come un'offesa, la condanna a sedici anni di carcere inflitta dal Tribunale di Torino al nostro concittadino Stephan Schmidheiny. Nonostante le sconvolgenti rivelazioni sul suo comportamento emerse in due anni di dibattimento, la "grande" stampa svizzera ancora lo assolve e anzi lo celebra come un eroe, come «il pioniere delle messa al bando dell'amianto». Nell'ambito di una vasta operazione tesa a occultare fatti e verità, in questo frangente oggettivamente difficile per il condannato è sceso in campo anche un ex consigliere federale, amico di famiglia di lunga data.
Di regola, quando davanti a un tribunale straniero siedono cittadini svizzeri accusati di reati di criminalità comune, la copertura mediatica dell'evento è garantita. Non è stato così per il processo di Torino, il più grande mai celebrato in Europa nell'ambito della criminalità d'impresa. La stragrande maggioranza degli organi d'informazione svizzeri ha totalmente ignorato l'evento: i grandi giornali se ne sono occupati in pochissime occasioni e quasi sempre solo quando il frangente era propizio per affermare l'estraneità della Svizzera (patria dell'Eternit) alla tragica vicenda dei morti d'amianto. Ampio risalto ha ottenuto per esempio, nelle prime settimane di dibattimento, la decisione del tribunale di Torino di escludere la Eternit (Schweiz) AG di Niederurnen (società successore in diritto della Eternit che fu degli Schmidheiny) dall'elenco dei responsabili civili. Su tutto il resto è calato un assordante silenzio durato due anni: qualche articolo di cronaca il giorno di apertura del processo il 10 dicembre 2009 e nulla di più. Al termine della fase istruttoria, nel giugno 2011, area ha svolto una piccola indagine ed ha per esempio scoperto che sui tre grandi giornali Tages Anzeiger, Neue Zuercher Zeitung (Nzz) e Le Temps in diciotto mesi di processo Eternit erano stati pubblicati non più di una dozzina di articoli in totale. Il solo Tages Anzeiger, nello stesso periodo, si era invece occupato in una sessantina di occasioni della vicenda di tre giovani picchiatori zurighesi a giudizio a Monaco di Baviera (in Germania) per aver assalito cinque persone . Per forza di cose, il nome di Stephan Schmidheiny è ricomparso sui giornali svizzeri a inizio luglio 2011, dopo che il pubblico ministero Raffaele Guariniello aveva formulato la richiesta di pena. Ma la notizia che l'illustre industriale rischiava vent'anni di carcere è stata trattata quasi con riservatezza, con un tono fortemente garantista e in parte denigratorio nei confronti della giustizia italiana. Emblematica la scelta della Nzz, lo storico e austero quotidiano della borghesia zurighese considerato per la sua serietà e per la completezza dell'informazione: la notizia viene data a pagina 27 in un articoletto di due colonne collocato nella parte bassa. Ancora più interessanti il titolo e l'attacco del pezzo: «Processo Eternit senza fine» e «Nel fortemente politicizzato processo torinese sull'amianto, la Pubblica accusa chiede...». Ma il peggio il foglio zurighese l'ha offerto in occasione delle sentenza di condanna, che obiettivamente non poteva né sottacere né relegare in fondo al giornale. L'informazione è però imprecisa e partigiana: già il giorno 13 sul portale internet si scrive per esempio Schmidheiny è accusato di «omicidio volontario (il che è falso) e si parla di «processo farsa». Commentando invece la sentenza, la Nzz afferma che i due imputati, «in modo meschino e sleale sono stati resi dei capri espiatori». E ancora, come se la condanna fosse stata decisa dai rappresentanti dell'accusa e non dai giudici: «I responsabili del processo» sono dei «magistrati di sinistra che tentano di proseguire la lotta di classe con nuovi mezzi» e che «mirano a combattere gli incidenti sul lavoro al pari dei reati di mafia», scrive la Nzz, sottolineando come il Tribunale di Torino abbia «ignorato che Schmidheiny è stato un pioniere della fuoriuscita dall'amianto». Un concetto questo che viene sottolineato da quasi tutti i commentatori. Anche il quotidiano romando Le Temps, pur definendo la sentenza, come titolo di apertura della prima pagina, «la prima grande vittoria delle vittime dell'amianto», nell'editoriale loda e "assolve" il condannato: «Stephan Schmidheiny, il cui impegno in favore delle grandi cause ambientali è riconosciuto a livello mondiale, è stato coinvolto in una brutta storia i cui piccoli e grandi lasciti sono divenuti evidenti solo quando ormai era troppo tardi», scrive il commentatore. Una tesi a cui Le Temps cerca di dare forza pubblicando un articolo del 1978 che dimostrerebbe come in quell'anno «la nocività dell'amianto» fosse «ancora oggetto di dibattito». Il giornale dimentica di dire che se le cose sono andate così è proprio perché il cartello mondiale dell'amianto (di cui Stephan Schmidheiny era capofila) era impegnato con ogni mezzo a delegittimare il lavoro degli studiosi e far credere che fosse possibile l'uso in sicurezza della fibra (vedi articolo a destra). Anche il Tages Anzeiger, comunemente considerato un giornale progressista, corre in soccorso di Schmidheiny attraverso una lunga intervista al penalista zurighese e professore universitario Martin Kilias. Leggendola, balza subito all'occhio che l'esperto non conosce la vicenda: egli afferma per esempio che il Pubblico ministero avrebbe chiesto una condanna per «omicidio volontario» (falso) e dichiara di «non sapere» se gli imputati all'epoca sapessero delle conseguenze dell'amianto sulla salute e «ancor meno» se gli stessi avessero volontariamente esposto a pericolo i lavoratori. Nonostante questa premessa, Kilias non esita a giudicare «sproporzionata» la pena inflitta («In qualsiasi altro paese non avrebbe preso più di cinque anni») e a esprimere giudizi sommari sulla giustizia italiana: «In Italia non è raro che dopo un lungo processo vengano pronunciate condanne severe che poi vengono corrette in appello». Il gratuito 20 Minuten in lingua tedesca dà invece la parola al consigliere nazionale liberale-radicale Filippo Leutenegger, persona tra l'altro sensibile al problema dell'amianto visto che è stato autore di un atto parlamentare che chiede una modifica dei termini di prescrizione per consentire alle vittime di ottenere risarcimenti anche oltre i dieci anni dall'esposizione alla fibra. Ma anche a lui dà fastidio che un suo concittadino venga condannato in Italia: «Nei confronti di un industriale italiano non sarebbe mai stata pronunciata una sentenza così severa», si lamenta. Drs1, il primo canale radio in lingua tedesca della Ssr Srg Idee Suisse (cioè del servizio pubblico), si è invece affidato per un lungo commento al giornalista Werner Catrina, una sorta di biografo di Stephan Schmidheiny tra l'altro autore di un libro in cui racconta la sua "verità" sull'Eternit. In collegamento diretto da una nave mercantile in acque africane ha avuto mezz'ora di tempo per tessere le lodi del miliardario svizzero, che ha definito «un eroe tragico». «Un eroe perché è stato il primo ad abbandonare l'amianto e tragico perché, nonostante tutto il suo impegno, è stato condannato», ha affermato Catrina. Ancor peggio hanno saputo fare i giornalisti della trasmissione televisiva di approfondimento "10 vor 10" su Sf1, mandando in onda un servizio taroccato: per dare forza alla tesi del "processo farsa" (peraltro il tema portante dell'intero servizio), le immagini delle reazioni di gioia dei familiari delle vittime alla lettura della sentenza sono state montate in modo tale da far credere al telespettatore che ciò sia avvenuto nella medesima aula dove si celebrava il processo e non (come in realtà) in quella adiacente destinata solo al pubblico. Un vero capolavoro di anti-giornalismo, indegno per una testata del servizio pubblico finanziato con i soldi dei cittadini attraverso il canone radiotelevisivo. Senza voler per forza trovare facili spiegazioni a tutto, ci pare a questo punto legittimo chiedersi se per caso dentro la Ssr Srg Idee Suisse non abbia in qualche modo pesato il legame che esiste tra Stephan Schmidheiny e il direttore generale della stessa azienda radiotelevisiva Roger de Weck, il quale, nonostante la sua funzione, continua tra l'altro a far parte del Consiglio di fondazione della Fondazione intitolata a Max Schmidheiny, il defunto padre di Stephan. Ci vorrebbero ancora molte righe per completare la rassegna stampa, ma possiamo fermarci qui. Anche perché rischieremmo di essere ripetitivi, visto che quasi tutti i media (non però quelli della Svizzera italiana) difendono Schmidheiny attaccando e ridicolizzando la giustizia italiana. Vale però forse la pena aggiungere un dettaglio: la notizia della condanna di Schmidheiny (seppur addolcita con tutte le considerazioni di cui abbiamo detto) nel giro di ventiquattro ore è praticamente sparita dai siti internet dei giornali e archiviata come fosse un fatto del tutto irrilevante. Pare insomma che nella sua terra il condannato Stephan Schmidheiny continui a godere di un grande riguardo. Ma questo, in fondo, non deve sorprendere più di tanto, visto che per lui si è scomodato anche l'ex consigliere federale Hans-Rudolf Merz. Certo, un amico di famiglia di lunga data (Merz fu presidente del consiglio di amministrazione della Anova Holding -ex Amiantus- cui faceva capo il gruppo Eternit e consigliere di Stephan Schmidheiny, ndr), ma pur sempre un ex membro del governo svizzero, che la tradizione vuole in una posizione defilata. Merz invece si spinge fino a un'assoluzione del condannato: «Ha fatto di tutto perché l'amianto venisse abbandonato il più in fretta possibile». Non è esattamente quanto risulta dai documenti visti e dalle testimonianze ascoltate al processo di Torino. |