Lavoro & società

La pandemia ha portato con sé un importante calo occupazionale un po’ovunque, in Svizzera il cantone più colpito è il Ticino, dove preoccupa lo scarto di genere: quasi nullo l’effetto per gli uomini, mentre si registra quasi il 6% in meno per le donne. Per il sindacato non è una sorpresa: «Le lavoratrici sono spesso le meno tutelate e quindi le prime ad essere espulse dal mercato del lavoro».

 

A fine agosto l’Ufficio federale di statistica (Ust) ha diffuso i dati sull’occupazione nel secondo trimestre del 2020, evidenziando un calo soprattutto in Ticino dove si è registrata una diminuzione del 2,9 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Osservando le statistiche cantonali per lo stesso periodo (Ustat), colpisce in particolare un aspetto: se per gli uomini la variazione è praticamente nulla (-0,1%), per le lavoratrici corrisponde invece a quasi il 6 per cento in meno (5,6%). Uno scarto fra i generi significativo, soprattutto considerando il fatto che a livello nazionale i dati dell’Ust non lo rilevano.

 

Ne abbiamo discusso con la sindacalista Chiara Landi, del Gruppo donne Unia, la quale non si dice troppo sorpresa di questi dati: «Purtroppo è una tendenza che possiamo riscontrare a livello internazionale, perlomeno in Europa e Stati Uniti, dove si parla proprio di “recessione femminile”. Non mi stupisce perché in generale le donne sono le più vulnerabili sul mercato del lavoro e quando c’è una crisi economica sono loro le prime a pagarne il prezzo in termini di perdita d’impiego», spiega. La crisi scatenata dalla pandemia sul mercato del lavoro avrebbe quindi semplicemente reso lampante e amplificato una situazione che il sindacato osserva quotidianamente da anni.

 

Una crisi del mercato del lavoro che ha colpito soprattutto il settore dei servizi, nel quale la manodopera è prevalentemente femminile, ma che comprende al contempo i settori più precari: «Si tratta di settori non tutelati da un punto di vista contrattuale, con contratti irregolari, su chiamata, contratti a tempo determinato che non sono stati rinnovati e sono i settori che vedono un livello salariale più basso», spiega Landi.

 

In questa crisi le donne sono state le più colpite dall’inizio alla fine. Erano coloro maggiormente impegnate nei settori ritenuti essenziali, cioè quelli che hanno permesso l’approvvigionamento e la sussistenza dell’intera popolazione nella fase di lockdown (che allo stesso tempo sono però anche i più malpagati e precari), sono poi state quelle più esposte al rischio di contagi perché svolgono mestieri dove è più difficile poter lavorare da casa e c’è un contatto con il pubblico. Le stesse donne che si sono poi trovate durante la fase di avvio dell’attività economica ad essere quelle anche più colpite dai licenziamenti.

 

A questo si aggiunge anche il peso del lavoro non remunerato , che rende particolarmente difficile la posizione della donna anche all’interno del mercato del lavoro, spiega Landi: «Il peso del lavoro non remunerato è stato importante anche durante la pandemia, in particolare con la difficoltà nel poter conciliare l’homeworking con la scuola a distanza e la sospensione dei servizi extrascolastici, e questo dovendo continuare anche a svolgere quei compiti di cura familiare e della casa che quasi sempre ricadono sulle spalle delle donne. È chiaro che tutto ciò ha un effetto, sia sul mercato del lavoro sia nel privato, e rende la vita delle donne complicata. Inoltre, il fatto che le donne siano da sempre non indipendenti economicamente a causa dei bassi salari e dei contratti precari le rende dipendenti non soltanto dal compagno o dal marito, ma per poter accedere al mercato del lavoro e restarci sono dipendenti anche dall’offerta di servizi pubblici, extrascolastici e di cura dell’infanzia in età prescolare: se questi servizi non sono forniti, essendo spesso l’elemento del nucleo familiare che guadagna di meno, sarà purtroppo la donna a scegliere di non lavorare. Senza contare che se le lavoratrici vengono espulse dal mercato del lavoro e hanno delle incombenze dovute agli oneri familiari, difficilmente riescono a rientrarci, soprattutto se il mercato è in crisi. Questo ha una ripercussione sull’intero sistema».

 

Al Consultorio giuridico donna e lavoro hanno inoltre registrato un incremento delle segnalazioni da parte di donne licenziate durante il periodo di maternità, cosa peraltro vietata dalla legge (leggi testimonianza in basso). Si tratta anche in questo caso di un problema grave e preesistente alla crisi del coronavirus, pandemia che ha semplicemente rappresentato l’ennesima scusa per alcuni datori di lavoro per lasciare a casa le neo-mamme. Occorre quindi reagire con urgenza verso una maggior tutela delle lavoratrici, in particolare al rientro dalla maternità.

Pubblicato il 

14.09.20
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