Fesso era chi lavorava. Fino a qualche mese fa il mondo era di chi sapeva far ballare i milioni, il capitalismo finanziario sembrava non avere limiti nella sua magica capacità di autoriprodursi e le ricette, invero poche, erano sempre le stesse: meno regole, meno Stato, porte aperte al liberismo, che più è sfrenato e più è vincente.
Poi è venuto il tempo della disillusione. Il capitalismo finanziario è crollato come un castello di carte. Sotto le sue macerie sono rimasti milioni di lavoratrici e lavoratori, buttati via come arnesi vecchi e rotti dopo aver creato la ricchezza su cui il capitalismo d'azzardo ha potuto scommettere. Arricchendosi all'inverosimile.
I profeti del neoliberismo si sono invece salvati. Certo, per decenza non sono più così spavaldi come qualche mese fa. Ora riconoscono, a denti stretti, che anche i mercati finanziari hanno bisogno di qualche regola. E che non è una sana economia quella che non poggia – almeno un po' – sulla ricchezza prodotta dal lavoro. Ma sostanzialmente sono ancora loro che dettano le politiche economiche. Con le loro ricette vecchie di trent'anni. L'arrivo a Lugano di un ex ministro del dittatore Pinochet che gira il mondo a predicare la privatizzazione delle pensioni è ben più di un curioso fatto di cronaca locale.
Ed è proprio nel locale che ben si vede come siano ancora i profeti del liberismo selvaggio a dettare le regole. In Ticino essi possono approfittare di un governo di rara debolezza per condizionarlo a piacimento. Ad esempio nella proposta di Legge sull'apertura degli orari dei negozi, che liberalizza il settore senza nessuna contropartita vincolante per il personale. Oppure nel cosiddetto Piano anticrisi, un elenco scoordinato di mezze misure che mette qualche pezza ad uno Stato uscito malconcio dall'ubriacatura liberista, ma che riesce anche a concedere un nuovo sgravio fiscale alle persone giuridiche che già fanno utili: una misura del tutto avulsa dal contesto, inutile al rilancio, ma che bene illustra quali siano i poteri forti a cui il governo ticinese deve dare retta. E chi siano dunque i suoi ispiratori: gli stessi, su per giù, di 14 anni fa.
Da questa crisi non si esce riciclando le stesse ricette che in questa crisi ci hanno cacciato. È ora di buttare via il ricettario. Per cucinare un'economia finalmente digeribile, sia sul piano sociale che su quello ambientale.

Pubblicato il 

05.06.09

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