Bush a Roma non è gradito

Una cosa è certa: il presidente degli Stati uniti, George W. Bush sarà accolto dall’ostilità della stragrande maggioranza degli italiani. In lui non vedono uno dei rappresentanti del mondo democratico che sessant’anni fa combatteva contro il nazismo e aiutava i popoli a liberarsi dall’occupazione tedesca e fascista. In Bush vedono il capo dei neocons, il paladino della guerra preventiva e permanente, il mandante delle torture ad Abu Graib, in Afghanistan, a Guantanamo. Per questo la visita di Bush in Italia a sostegno del suo più fedele scudiero Silvio Berlusconi, a una settimana dalle elezioni, non è gradita. Glie lo si dirà in mille modi: con le bandiere arcobaleno esposte alle finestre, con le piazze tematiche tenute dai movimenti e dalle associazioni pacifiste, con un grande corteo che il governo ha tentato di vietare fino all’ultimo, o meglio di marginalizzarlo rispetto a una città blindata e occupata da quasi 10 mila militari a cui si aggiungono i 500 guardiani personali del presidente del mondo. Alla fine, grazie a una protesta che ha coinvolto tutte le forze politiche democratiche – che dopo un interminabile parto sono riuscite a votare compatte contro la guerra – il corteo sfilerà (salvo ripensamenti e dunque provocazioni dell’ultima ora), da piazza Esedra a piazza Venezia, fino a Porta san Paolo. Vi parteciperanno i partiti a sinistra del “triciclo” prodian-diessino – Rifondazione comunista, Verdi, Pdci e la minoranza di sinistra dei Ds – insieme ad Arci, Legambiente, in modo poco più che formale la Cgil, con determinazione la Fiom, rete Lilliput e gran parte del mondo pacifista, dai cattolici ai centri sociali. Una la parola d’ordine: no alla guerra, via le truppe d’occupazione dall’Iraq, fuori Bush dal nostro paese. 34 anni dopo la visita di Nixon, ai tempi della guerra in Vietnam, yankee go home torna a essere cantata per le strade di Roma. Sperando che questa volta, però, la città non venga trasformata in un campo di battaglia che i manifestanti non cercano. Antiamericanismo, il sentimento che spinge alla protesta contro il viaggio elettorale di Bush? No, opposizione al pensiero unico, liberista e guerrafondaio del governo statunitense, una mobilitazione al fianco dei pacifisti americani che un giorno dopo i romani sfileranno al di là dell’Atlantico per chiedere anch’essi la fine della guerra e il ritiro delle truppe. Con i manifestanti indigeni, nella “città eterna” ci saranno gli “americani contro la guerra” e gli “ebrei contro l’occupazione” della Palestina. Eppure la destra italiana continua a vomitare accuse al movimento pacifista di «intelligenza con il nemico» islamico, di antiamericanismo e antisemitismo. Fino a parlare di oggettiva convergenza con il terrorismo di bin Laden. E il Dipartimento di Stato Usa ha consigliato ai suoi cittadini in Italia di tenersi alla larga dagli “assembramenti” di folla. Non attacca, il vento di Madrid soffia sulla penisola, nella speranza che non servano altri morti e stragi a far terminare l’irresponsabile avventura bellica del governo. E nella speranza che l’intera opposizione antiberlusconiana riesca a interpretare, per una volta, il sentimento della maggioranza della popolazione. Le giornate contro la guerra sono iniziate mercoledì a Roma. Mentre scriviamo, il centro della città è una gigantesca zona rossa, chiusa alla popolazione per consentire alle autorità politiche e militari, in doppio petto o in divisa, di assistere alla più odiosa parata militare che il paese ricordi dai tempi di Mussolini. Un’esibizione provocatoria di forza mentre il paese è in guerra d’occupazione – bombardieri, missili, carriarmati e quant’altro – ed esaltazione del tricolore, retorica sui “nostri ragazzi”. Il tentativo di far nascere uno spirito nazionalista che purtroppo vede nel presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi il principale alfiere. È stata una scelta odiosa, quella fatta qualche anno fa, di ripristinare la parata militare il 2 giugno, giorno della vittoria della Repubblica sulla Monarchia al referendum del ’46. Un giorno che dovrebbe essere di festa civile, pacifista, trasformato in esibizione di culture e strumenti di guerra e di morte. E mentre scriviamo, per fortuna, le due Italie mobilitate a Roma non sono entrate in collisione, salvo pochi tafferugli scatenati vicino al Colosseo da poliziotti che impedivano ai manifestanti di gonfiare pallocini colorati e una cinquantina di pacifisti fermati perché tentavano di esporre le bandiere arcobaleno lungo il percorso della parata. Tutti i ponti sul Tevere sono presidiati dai movimenti che espongono bandiere tricolori e striscioni, mentre la parata è guardata a vista da due presidi democratici, uno in via Labicana e l’altro in piazza Venezia. Un luogo simbolico, quest’ultimo, dove sta il palazzo dal cui balcone il Duce Benito Mussolini dichiarò guerra alla Francia al fianco dei nazisti. Allora sotto il balcone c’erano folle plaudenti, oggi qualcosa è cambiato. Ma l’Italia è di nuovo in guerra.

Pubblicato il

04.06.2004 03:30
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