Prima dei sedicenti grandi del pianeta che si ritroveranno dal 6 al 9 luglio nella scozzese Gleneagles per uno degli ormai famigerati G8, scendono in campo i grandi della musica. E il 2 luglio 2005 potrebbe entrare nella storia come una nuova pietra miliare del rock grazie al Live8, il megaconcerto suddiviso fra Londra, Parigi, Roma, Edimburgo, Berlino, Filadelfia, Barrie, Tokyio, Johannesburg e Mosca e trasmesso in diretta televisiva planetaria. Il megaevento ideato dal musicista Bob Geldof, che già vent’anni fa mise in piedi l’ormai leggendario Live Aid, segna infatti un salto di qualità rispetto a quell’esperienza: se allora l’impatto e la popolarità delle star del rock erano state messe al servizio di una pur lodevole ma sempre e soltanto caritativa raccolta di fondi, questa volta è il messaggio, dunque la componente politica dell’impegno, che danno un senso a tutta l’operazione. Si tratta di far capire agli autoproclamati leader mondiali e alle moltitudini del pianeta che la salvezza del continente africano può passare soltanto da un condono del debito contratto verso i paesi più ricchi e da un abbandono delle politiche neoliberiste di cui proprio il G8 è massimo promotore. Tutto bene? Qualche dubbio in realtà è lecito. Sulla buona fede di Geldof non ci piove (anche se in una sua prima lista di 40 star mondiali invitate c’era soltanto Youssou N’Dour a rappresentare l’Africa…). Ma è evidente che all’industria globale della musica il Live8 interessa in quanto magnifica occasione promozionale. Quanto agli artisti che suoneranno per la buona causa, la credibilità di molti di loro quali portatori di un messaggio politico è quanto mai dubbia: chi affiderebbe un messaggio men che frivolo a Mariah Carey o a Robbie Williams? Il paradosso è che con il Live8 la musica rock si pone il massimo obiettivo politico della sua storia nel momento in cui il suo disimpegno sul fronte dei contenuti è totale: Joan Baez e Bob Dylan avevano un impatto certamente paragonabile, ma erano di tutt’altra pasta. Il rischio è allora che il Live8 si riduca ad episodio, buono solo da raccontare per chi c’era e da sfruttare commercialmente per chi può: una gag pubblicitaria di una delle più efficaci industrie globali. Infine questo megaevento rischia di oscurare il lavoro di centinaia di organizzazioni e di migliaia di persone che nel popolo no global da anni sono impegnate seriamente per porre le basi ad un diverso modo di impostare i rapporti di potere nel mondo. Tutto male allora? Forse è meglio sospendere il giudizio. Anche perché lo stesso Geldof, seminando il panico fra gli addetti alla sicurezza, ha chiesto ad “almeno un milione di inglesi” di partecipare alla manifestazione no global del 6 luglio a Gleneagles. Magari poi, fra una star del pop e l’altra, si riuscirà a far passare qualche idea a mo’ di battesimo politico per alcuni milioni di giovani altrimenti del tutto disimpegnati. E se per far cambiare idea ai vari Bush, Blair e Berlusconi ci vuole una sculettata di Mariah Carey, ben venga: avremo la riprova definitiva della statura dei “grandi” della terra.

Pubblicato il 

01.07.05

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