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Buon anniversario, care Officine |
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Il 7 marzo di un anno fa iniziò la formidabile resistenza degli operai delle Officine delle ferrovie federali di Bellinzona. Insieme a due protagonisti, Gianni Frizzo e Sandro Marci, parliamo dell'anno trascorso.
«Sandro ed io saremo alla Supsi. (Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana, ndr.) Dovremmo parlare agli studenti fino alle 10. Se vuoi possiamo vederci dopo» mi dice Gianni Frizzo, uno dei leader del movimento degli operai delle Officine di Bellinzona quando concordiamo l'ora per l'intervista. All'appuntamento arrivo puntuale. La lezione dovrebbe essere già terminata, ma così non è. Mi infilo nell'aula. È gremita di studenti. Strano; nella classe non si respira quella frenesia di uscire tipica nell'imminenza della pausa. Pare piaccia agli allievi ascoltare i due operai, Frizzo e Sandro Marci, raccontare l'esperienza di lotta vissuta alle Officine delle ferrovie federali di Bellinzona. «Agite secondo quello che il vostro cuore vi dice» esorta Frizzo gli studenti chiudendo la lezione. Li avvicino e l'intervista ha inizio. Quanto c'è stato di cuore e di mente nella vostra lotta? Frizzo: È difficile fare delle percentuali. C'è stata molta emotività e istinto durante quei giorni. Al tempo stesso però, bisognava essere meticolosi nell'analizzare i fatti. Abbiamo ascoltato il cuore, e usato la mente grazie all'esperienza accumulata negli anni precedenti. Ad un anno di distanza, qual'è la prima immagine che viene in mente ? Marci: Nei primi giorni dello sciopero siamo andati alla Valascia (pista di hockey dell'Ambri piotta, ndr.) a chiedere una sottoscrizione agli spettatori. Una signora dell'età di mia madre, mi prende fra le braccia e mi stringe forte. Poi, inizia a piangere. Resto interdetto, non so cosa fare. Piange lei, quando invece dovrei farlo io. Questo è uno dei ricordi più forti. Come membri del comitato di sciopero, com'era gestire il peso della responsabilità di fronte ad oltre 400 operai, le loro famiglie, e un cantone intero ? Frizzo: Il peso maggiore è stato subire gli anni precedenti senza poter fare niente. Quando sei convinto di essere nel giusto e senti l'appoggio di molte persone, tutto diventa più facile. Diventi come uno spazzaneve che tira avanti senza ostacoli». Nei 12 mesi trascorsi, ci sono stati almeno tre importanti vittorie del vostro movimento. L'intervento del consigliere federale Moritz Leuenberger che ha segnato l'annullamento del piano di ristrutturazione e l'inizio della tavola rotonda; lo stralcio della lettera d'intenti tra Ffs e partner privati in giugno; e le garanzie di continuità ottenute a novembre da Cda e direzione Ffs a novembre. È possibile fare una graduatoria? Marci: Sono tutti stati momenti importanti, grazie ai quali oggi possiamo iniziare a costruire su basi solide. Frizzo: Il 7 marzo è stato la vittoria più importante. Essere tutti consapevoli che era possibile opporsi, iniziando lo sciopero. Il resto è stato una conseguenza. Avete mai la sensazione di avercela fatta? Frizzo: Ce l'abbiamo fatta a dimostrare che i superiori non hanno sempre la verità assoluta. Ce l'abbiamo fatta a dimostrare che la base, i lavoratori, possono discutere con cognizione di causa dei problemi aziendali. Marci: Ce l'abbiamo fatta a lanciare lo sciopero, a far cambiare idea al ministro Leuenberger, a rendere cosciente il mediatore Franz Steinegger dei problemi. Ora sarebbe bello riuscire a far assumere un atteggiamento ai lavoratori di decidere quale vita si vuole avere, e poter influenzare concretamente le decisioni aziendali. Ancora non è così. Frizzo: aggiungerei che ce l'abbiamo fatta a sovvertire la logica della dirigenza sindacale, troppo spesso opposta agli interessi degli operai. Siamo riusciti a capovolgere le priorità: prima quelle degli operai, poi dei vertici sindacali. Siete consci di essere un "pericoloso precedente"? Frizzo: Solo per alcuni, non per tutti. Probabilmente per le dirigenze aziendali e sindacali. Ma noi preferiamo che a giudicarci sia chi è confrontato con problemi simili ai nostri. Marci: Ci farebbe piacere essere riconosciuti come una giusta consuetudine di fronte ad un sistema sempre più ingestibile e ingiusto. La vostra lotta è stato un esempio importante per molti salariati. Come capitalizzare questa esperienza di lotta? Frizzo: Cerchiamo di informare, di raccontare a più persone quanto abbiamo vissuto. Andiamo dove ci invitano, nelle scuole come oggi oppure nei seminari che organizziamo dal titolo « Uno, due, cento officine ! ». È un modo per dare continuità alla nostra lotta, per colmare quel vuoto esistente anche nelle strutture sindacali. Marci: La solidarietà è bidirezionale. Noi ne abbiamo potuto usufruire ed è giusto che la condividiamo con più persone possibili. Senza la presunzione di insegnare niente.
L'intervista si chiude qui. Disponibili, umili e semplici, ma concreti. Sono così gli operai delle Officine. Sicuramente è uno dei motivi per cui tanti salariati del cantone e del paese, si sono riconosciuti in loro.
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