Esteri

Buon 8 marzo, Mahsa

Per la ricorrenza internazionale, in programma oggi un corteo a Bellinzona a sostegno delle donne iraniane. Intervista a una giovane attivista di Teheran


Donna, vita, libertà. Fatelo sentire da ogni parte del mondo, anche dal Ticino, che la rivolta della popolazione femminile in Iran è anche la vostra. Fatelo sentire oggi, nella giornata dedicata alle donne, che siete tutti con Mahsa, con le ciocche di capelli al vento e unitevi al corteo solidale e femminista in programma a Bellinzona.

«Nessuna bandiera di partito, solo i colori dell’Iran!». L’invito è chiaro: niente strumentalizzazioni politiche, ma volontà di partecipazione. Nella giornata dell’8 marzo, dedicata internazionalmente alle donne, non per portare loro le mimose, ma per sostenerle nel percorso del raggiungimento dei pieni diritti, oggi a Bellinzona si ricorderà Mahsa e la lotta delle giovani iraniane. Dalla stazione, alle 17.30, partirà un corteo in direzione di piazza della Foca con striscioni di solidarietà per dare poi voce, una volta davanti alla sede del governo ticinese, alla situazione in Iran. E buon 8 marzo a tutte…


La rivolta scoppiata in Iran ha travalicato qualsiasi confine interno al paese e – nonostante l’ira degli ayatollah che hanno risposto con la ferocia delle torture e della morte – ha superato ogni confine fisico fino ad arrivare fino al piccolo Ticino. E ogni voce è importante per dare sostegno a quelle giovani donne che si sono strappate dalla testa lo scialle della sottomissione e, per riportarle sulla “retta via”, sono state prese a bastonate, aggredite sessualmente, torturate con la mano chirurgica e ferma che contraddistingue gli aguzzini, alcune morte ammazzate con una brutalità che non si vuole neanche narrare, ma sappiamo accadere proprio ora nelle prigioni iraniane.


«L’opinione pubblica internazionale – dopo il 16 settembre quando Mahsa Amini è stata uccisa per un ciuffo che le cadeva sul volto – si è ribellata, protestando a sua volta con il simbolico e potente taglio di una ciocca di capelli. Ora, dopo sei mesi, l’attenzione sta un po’ calando: bisogna riportarla alta, perché in questo momento molte persone sono incarcerate, sottoposte a sevizie, rischiando di finire sul patibolo. Secondo me, questa dittatura è destinata a cadere, ma bisogna velocizzare il processo per salvare vite umane» ci spiega una giovane iraniana, residente nella Svizzera italiana, che coordina la manifestazione. Un appello a riunirsi a sostegno della rivolta del popolo iraniano contro la Repubblica islamica e un invito (non velato) anche alla Confederazione a schierarsi al fianco di chi rischia la vita, semplicemente gridando lo slogan “Donna, Vita, Libertà”.


«Non sono un’analista, ma una testimone – puntualizza la donna giunta in Ticino dopo avere sposato uno svizzero incontrato all’università di Teheran –. In questi mesi si è assistito ad azioni senza precedenti da parte della comunità internazionale, ma non sono sufficienti: occorrono misure più concrete, risposte politiche contro le violenze in atto in Iran. Tutto ciò che, in sei mesi di proteste contro l’obbligo per le donne dell’hijab e per la democratizzazione del regime religioso, è accaduto nel regno repressivo degli ayatollah, è un atto di speranza per un cambiamento realistico nel paese. Ma bisogna fare più pressione per far cadere un governo rovinato alla base, corrotto e assassino, che usa la religione per reprimere il popolo, mentre si comporta esattamente al contrario di quanto predica. Non possono resistere: scendiamo in piazza per velocizzare questo processo».


Se non è una rivoluzione, che cosa è?, si chiede la nostra interlocutrice. La stessa questione se la poneva l’attivista per i diritti umani e vincitrice del Nobel per la pace, l’iraniana Shirin Ebadi sulle pagine del Tages Anzeiger a fine dicembre, cogliendo anche l’occasione per domandarsi il motivo per cui il Consiglio federale non avesse aderito alle sanzioni dell’Ue nei confronti dell’Iran...

 

La giovane, mentre risponde al telefono per definire gli interventi di chi prenderà la parola durante la manifestazione di oggi, ci spiega che sì, anche lei ha timore di ritorsioni contro la sua famiglia. «Tutti abbiamo paura, ma nonostante ciò ognuno partecipa facendo la sua parte, cercando di portare un contributo. Chi ha più paura in questo momento, e forse anche più della popolazione, è il governo iraniano. Lo dimostra la reazione istituzional-religiosa che non si è fatta attendere: la violenza di Stato verso le proprie figlie e i propri figli è estremamente forte per indurre a rientrare nei ranghi dell’obbedienza. Questa volta non accadrà e sa perché? Perché le giovani e i giovani sanno di non avere nulla da perdere, in quanto non hanno futuro in un paese che li priva delle libertà e dei diritti fondamentali. Un movimento di protesta che si sta rivelando particolarmente moderno, usa i social per fare sentire la propria voce, è strutturato. Sanno che l'Iran non inizia con l'Islam e non si fermeranno: sono preparati, consapevoli, informati, chiedono uno stato dove la politica sia separata dalla religione».

 

La donna sa, attraverso il racconto della sua famiglia, di quando lo scià fu spodestato e andò al potere Khomeini con l’instaurazione di un governo islamico: «I miei genitori ricordano quei momenti come un momento effervescente, perché c’era molta aspettativa nel cambiamento. La reazione della mia famiglia era stata positiva, perché in Iran si stava vivendo un momento di grande scontento. Era un’illusione, avevano scelto male e lo capirono presto. Dapprima furono messe al bando le gonne color crema, perché ricordavano la pelle nuda e venne introdotto l’obbligo di indossare nei luoghi pubblici lo hijab, il velo appartenente alla tradizione islamica indossato da tutte le donne a partire dalla pubertà, musulmane o cristiane che fossero. Proibito l’alcol che, invece, culturalmente ha sempre avuto un posto rilevante nelle abitudini della popolazione. Mi ricordo gli espedienti di mia madre: andava al mercato nero indossando non lo hijab, ma addirittura il chador per poter nascondere sotto i veli la vodka di contrabbando che acquistava per le feste in famiglia. La parte più inquietante del nuovo sistema istituito toccava però le donne, alle quali venivano falciati i diritti e negate le pari opportunità. Si stava drammaticamente tornando indietro».


Dopo 40 anni – continua Mariana – la popolazione, costituita da 87 milioni di persone, «è stanca e non crede più nelle istituzioni del paese. L’Iran è composto da molte etnie, che non sono più così staccate tra loro. Per anni il governo ha deliberatamente ignorato certe identità, valorizzando unicamente l’Islam e lo sciismo. Ci hanno fatto credere che i curdi fossero indipendenti e che i bahaisti fossero spie al soldo di Israele per metterci gli uni contro gli altri. Per la prima volta, i video che girano di “contrabbando” dalla censura, mostrano iraniani di lingua turca, che scandiscono slogan a favore dei curdi e viceversa. La gente è unita contro un governo in cui non crede più».


Se il sistema repressivo della Repubblica islamica è stato messo alla prova negli ultimi mesi, il regime dei mullah continua comunque a usare le differenze tra le comunità per sottometterle: «Non sono mai le forze di sicurezza locali a reprimere le manifestazioni nella città. Mandano i più “ideologici”. In diversi video si sentono uomini di lingua araba che reprimono gli iraniani. È possibile che si tratti di combattenti libanesi di Hezbollah, ma ripeto non sono un’analista e queste sono considerazioni di un’iraniana che vive in Svizzera e osserva il proprio paese con nuovi occhi».


Il clero sciita – afferma la donna – si è sempre diviso per governare meglio. Una strategia che sembra sgretolarsi, con le varie minoranze etniche e religiose sostenute dalla comunità sciita all’interno del movimento di protesta che ha scosso il paese dopo la morte di Mahsa.
In Iran il 95% della popolazione è sciita, il 5% sunnita. Le minoranze cristiane, ebraiche, zoroastriane e baha’i si riducono di anno in anno. Poiché il regime dei mullah si è sempre basato sulla religione per stabilire il proprio potere, «tra gli sciiti sta emergendo un rifiuto totale nei confronti della religione. Lo vediamo nel testo di una canzone diventata virale: “Odio la tua religione, odio il tuo culto”. La Repubblica islamica ha tagliato il ramo su cui era seduta, perdendo anche il sostegno dei credenti ormai disillusi. Per me il clero sciita non ha futuro: c’è ora un tale odio verso i religiosi! Io stessa ho perso la fede». Questo rifiuto della religione da parte degli sciiti si esprime in due modi diversi: «I giovani si allontanano dalla religione e non credono più in Maometto, mentre i loro anziani si stanno convertendo al cristianesimo, perché è una generazione convinta che per vivere bisogna pur credere in qualcosa».


Difficile in questo momento per la donna  comunicare con la famiglia che vive in Iran: Skype è sconsigliato, WhatsApp pure, su Telegram le chiamate vengono interrotte, bisogna nascondere l’indirizzo IP: «Ci spiano con gli strumenti comprati da quella America che dicono di odiare». Per lei quando la gente mette in gioco la propria vita nelle strade per manifestare la propria rabbia, «la rivoluzione si sta compiendo. Lo sanno anche nelle stanze del potere: gli hacker hanno infatti pubblicato le comunicazioni interne del regime per il quale, questa volta, la rivolta è molto vicina a una rivoluzione. È bello vedere che siamo sulla strada giusta per cacciare quei governanti, che sono i primi a non rispettare quelle leggi fuori dal tempo e dalla civiltà, che pretendono di imporre agli altri».


Gli iraniani vogliono cacciarli. Avanti, tagliamoci un’altra ciocca, e scendiamo in piazza, in fondo a noi non costa nulla.

 

Pubblicato il

07.03.2023 18:27
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