Bucha cambia tutto o nulla?

Le terribili immagini dalla località ucraina, potrebbero determinare il prossimo futuro.

Le terribili immagini e notizie provenienti da Bucha, dove le truppe russe avrebbero ucciso civili a freddo per poi lasciare i loro corpi in strada, cambiano molte cose. O forse no. Cominciamo con il dire che molti esperti internazionali di fact-checking hanno analizzato quelle immagini e stabilito che sono più che credibili. Non è un particolare secondario, perché quella tra Russia e Ucraina è anche una guerra di comunicazione e prima di Bucha alcune delle notizie diffuse dalle autorità ucraine – e la maggior parte di quelle diffuse da Mosca – si sono rivelate non accurate o false.

Proprio per la necessità di fare piena luce sui morti civili a Bucha e su quelli che purtroppo rischiamo di vedere anche in altre città e piccoli centri ucraini è un bene che l’Onu apra un’indagine internazionale che individui la dinamica e le responsabilità. È quel che ha chiesto il Segretario Generale dell’Onu Guterres ed è quel che chiedono diversi Paesi in sede di Consiglio per i Diritti Umani. Un’inchiesta indipendente che individuasse dei colpevoli sarebbe importante perché rimetterebbe al centro le istituzioni sovranazionali e il diritto, invece che scambi di accuse.


Ma perché le immagini provenienti da Bucha cambiano le cose? E perché no? Il primo aspetto è che qui saremmo in presenza di crimini di guerra perpetrati in maniera metodica e non giustificabili in nessun modo come “errori”. Una bomba si può sganciare sull’edificio sbagliato e in guerra esiste anche la categoria discutibile di “danni collaterali”, ovvero morti civili che non si aveva intenzione di uccidere. C’è una differenza tra il colpire un commando nemico uccidendo anche dei civili o sparare alla testa di una persona inerme.

 

Questi morti, come anche altri episodi di cui abbiamo sentito parlare ma che non possiamo dare per assolutamente certi, rendono Putin un criminale peggiore. E questo complica le cose. Come si fa a negoziare con un criminale di guerra? E come si punisce la Russia in maniera più efficace di quanto non fatto fino a oggi senza però rischiare un’escalation militare che coinvolga altri Paesi?


Alla prima domanda ha spesso risposto indirettamente il presidente ucraino: «Tutti noi, me compreso, percepiremo anche la possibilità di negoziati come una sfida, un dilemma alle nostre coscienze. Ma penso che dovremmo farci coraggio sapendo che non abbiamo altra scelta». Zelensky ha detto queste parole alla Tv ucraina, il che significa che questo è il messaggio che trasmette al suo popolo anche dopo Bucha. Si tratta di una disponibilità importante che l’Occidente dovrebbe raccogliere.


Trattare sarà più complicato non solo perché ogni episodio di violenza brutale accentua le distanze, ma perché dopo tante settimane di guerra e le condanne sempre più dure, l’Unione europea non ha altre armi se non smettere di comprare carbone, mentre non intende smettere di comprare il gas. Quella dei 27 è una scelta comprensibile, specie dopo anni di recessione da Covid, ma segnala una debolezza. La stessa debolezza che si segnala a livello internazionale con l’Occidente relativamente isolato nel voler prendere misure drastiche e condannare in maniera inequivoca la Russia.

 

Il viaggio del ministro degli Esteri Lavrov in India nei giorni scorsi è in questo senso un messaggio chiarissimo a Bruxelles e Washington. Anche in questo caso Bucha cambia un poco le cose: India, Israele e Brasile, che in forme diverse hanno evitato di usare toni troppo aspri nei confronti di Mosca, hanno cambiato registro in sede di consiglio Onu per i diritti umani.


Parallelamente anche Putin non è in una buona situazione. Per adesso ha evitato un contraccolpo interno e nel lungo periodo è in grado di vincere una guerra che sta costando alla Russia molto più del previsto. In teoria, se restiamo nell’ambito della razionalità, anche al presidente russo servirebbe una buona via d’uscita. Se però osserviamo i comportamenti sul campo o seguiamo la manipolazione costante dei fatti operata da Mosca, sorge il dubbio che la razionalità non sia di casa al Cremlino.

 

Giorni fa l’agenzia stampa di Stato, Ria Novosti, pubblicava un editoriale nel quale si parlava di de-occidentalizzazione, rieducazione degli ucraini e cancellazione de facto dello Stato ucraino in quanto creazione artificiale. Si tratta degli stessi toni infusi di nazionalismo conservatore usati nel famoso discorso di Putin alla Tv russa prima dell’invasione. Difficile trovare soluzioni diplomatiche se la postura è questa.


Sul terreno, Putin sembra aver cambiato strategia militare: le truppe che arretrano da Kiev verso la Russia potrebbero essere dirottate a sud e nel Donbass-Lugansk per ottenere lì dei successi territoriali sui quali impostare una trattativa. Poi c’è chiaramente l’idea di infliggere costi umani ed economici enormi all’Ucraina per forzare la mano sulle trattative e portare a casa la neutralità e una cessione dei territori contesi. La capacità di Mosca di colpire duro non è diminuita e la strada per portare a casa qualcosa che si possa vendere come una vittoria sembra essere questa. Parallelamente l’Ucraina non può, dopo aver resistito e sacrificato tanto, cedere sulle cose che la Russia chiede dal 2014.


Quindi Bucha cambia tutto e non cambia nulla. Ci sarà il tempo, speriamo, per una indagine che appuri chi e come ha ucciso quei civili. Perché i crimini li commettono persone, comandanti, leader, non popoli. Ma parallelamente serve individuare una seria strategia diplomatica dell’Occidente. Che altrimenti rischia di continuare ad alzare la voce senza che questo abbia effetti concreti. Tra l’altro una guerra lunga e sanzioni che mettano in ginocchio Mosca implicano anche il rischio di creare uno Stato canaglia semifallito ai confini dell’Europa. Sarebbe un errore: l’Occidente deve lavorare a costruire un nuovo equilibrio di sicurezza, non a marginalizzare la Russia.

 

Non si tratta di un giudizio morale su Putin o di attenuare la condanna nei suoi confronti, ma di immaginare il futuro. Nel 1962, durante la crisi dei missili a Cuba, Kennedy fece la scommessa di offrire una via di uscita a Kruscev, garantendo che non avrebbe invaso l’isola in cambio del ritiro dei missili sovietici (e offrendo in segreto di toglierne dalla Turchia). Forse sarebbe il caso di avere la stessa fantasia di Jfk, offrire qualcosa in cambio di pace e sicurezza per gli ucraini.

Pubblicato il

07.04.2022 16:46
Martino Mazzonis
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