Bruno Pellaud: «enormi interessi in gioco»

«Se dovessi scommettere, direi che la Svizzera inaugurerà una nuova centrale nucleare nel 2023». Lo afferma Bruno Pellaud, vicepresidente del Forum nucleare svizzero, associazione nata nel 1958 con lo scopo di promuovere l'uso pacifico dell'energia nucleare nel nostro paese. Figura storica e di spicco degli ambienti filonucleari, Pellaud è anche un fine osservatore della realtà sociale, politica ed economica, col "vizio" di dire sempre quello che pensa, in modo indipendente e originale. Interpellato da area per fare un punto al dibattito in corso sul rilancio dell'opzione nucleare, non smentisce la sua fama e fornisce interessanti analisi e chiavi di lettura.

Signor Pellaud, di quante nuove centrali nucleari ha realmente bisogno la Svizzera?

«Per rimpiazzare, tra il 2020 e il 2030, le tre centrali entrate in esercizio attorno agli anni Settanta (Mühlebreg e le due di Beznau, ndr), che insieme hanno una potenza di 1.100 Megawatt, ne basta una. In effetti il più piccolo impianto che oggi si può acquistare è di 1.000 MW».

Come spiegare allora la pretesa delle grandi compagnie elettriche, che hanno inoltrato ben tre domande di autorizzazione di massima?

L'inoltro di tre domande non significa che saranno costruite tre centrali, ma la mossa ha una sua logica perché consente di cautelarsi da eventuali ostacoli cantonali e lascia la porta aperta a più soluzioni. È per esempio ipotizzabile che i tre progetti vengano realizzati a tappe, magari sull'arco di trenta o quarant'anni, a dipendenza delle necessità, cioè della crescita della domanda di elettricità.

Quante centrali saranno costruite e quando?

A determinare il numero di centrali e il ritmo di costruzione sono i fattori economici. Le compagnie elettriche non investono sei o sette miliardi di franchi per costruire centrali nucleari "di riserva". Prima devono avere la certezza di poter vendere tutta l'elettricità prodotta da un impianto che funziona a pieno regime. Ritengo dunque che, almeno in un primo tempo, sarà realizzata una sola centrale.

E tra i concorrenti che si stanno facendo la "guerra" chi la spunterà?

In realtà, lo scontro tra le grandi compagnie elettriche si spiega con l'ambizione di ciascuna a essere capofila del progetto. Sono sicuro che tutte le future centrali nucleari saranno realizzate da un consorzio, come è stato il caso per quella di Leibstadt (Argovia), la più grande e moderna centrale svizzera che conta 13 azionisti. Nessuna società svizzera può permettersi di investire così tanto in un colpo solo: vi sono troppi rischi, di carattere finanziario, di ritardi e di modifica delle condizioni per operare sui mercati internazionali.

Ritiene che il Consiglio federale prenderà una decisione politica e limiterà a uno il numero di nuovi impianti?

Per principio lo Stato deve rimanere estraneo alla concorrenza commerciale tra le imprese elettriche. Non dovrebbe insomma esprimere pareri e limitarsi a un atto di politica energetica, visto che l'anacronistica "clausola  del bisogno", è caduta. Il governo potrebbe insomma concedere tre autorizzazione e poi lasciare la decisione al mercato e ai suoi attori. Riconosco tuttavia che questo modo di procedere potrebbe porre dei problemi a livello di opinione pubblica e alla fine nuocere alla causa nucleare. Non è dunque pensabile che il Governo si presenti in parlamento con tre domande di autorizzazione. La soluzione più elegante e praticabile sarebbe quella che esprima giudizi tecnici positivi sui tre progetti, ma indichi come necessità politica la costruzione immediata di un solo impianto, magari senza menzionare un sito. Sarebbe una decisione saggia, che sì porrebbe un freno alla realizzazione dei progetti ma al tempo stesso garantirebbe la libertà d'impresa e d'associazione. In ogni caso, la Svizzera non potrebbe permettersi, dopo il rilascio di un'autorizzazione a costruire, una situazione giuridica incerta per le compagnie elettriche.

È sorpreso dall'asprezza del conflitto tra i giganti dell'elettricità?

«Non troppo. Vede, il nucleare in Svizzera vanta un'esperienza quarantennale e una fama di buon funzionamento e di grande affidabilità. Ma esso si è anche rivelato un'eccezionale macchina per fare soldi. È infatti ovvio che la costruzione di nuovi impianti non è solo quello di garantire al paese il necessario approvvigionamento di elettricità, ma anche di poter operare sul mercato internazionale, che oggi garantisce alle nostre compagnie elettriche utili per un miliardo di franchi all'anno. È straordinario poter disporre di un'eccedenza di elettricità di fonte nucleare, che in combinazione con l'idroelettrico garantisce alla Svizzera una posizione di assoluto privilegio in Europa, dove ogni Chilowattora nucleare (che oggi costa 4 o 5 centesimi e che subirà un rincaro a 7 o 8 per le nuove centrali) può essere venduto  a più di 15 centesimi. Mentre la Germania è all'angolo ed è costretta ad attivare le centrali a carbone per compensare la fluttuazione dei venti e dunque il venir meno della fonte eolica, noi siamo sovrani, con grandi riserve, grandi impianti nucleari in grado di funzionare 24 ore su 24 e di esportare verso i paesi vicini. È un affare straordinario dal punto di vista commerciale e dunque molto appetibile per le compagnie elettriche.

A suo avviso sarebbe stato auspicabile, come affermato dal presidente del Plr Fulvio Pelli, un intervento del ministro dell'energia Leuenberger per cercare di mettere d'accordo i concorrenti?

Leuenberger non avrebbe potuto fare nulla. In questi anni ho vissuto in prima persona il dibattito tra le compagnie elettriche e posso testimoniare che in questa fase nessuna è disposta a "mollare l'osso". Ci sono altri motivi per criticare il ministro socialista, come la sua politica del personale all'Ufficio federale dell'energia, dove su cento funzionari ne sono rimasti solo un paio con competenze in materia di nucleare. Invece di criticare Leuenberger, Pelli farebbe bene a lavorare perché la cosiddetta "alleanza di centro" in costruzione (tra Plr, Ppd e Partito borghese democratico della ministra Eveline Widmer-Schlumpf, ndr) una posizione unitaria un po' più chiara sul nucleare, così da non lasciare il monopolio della sua difesa all'Udc.

Anche la presidente del Forum nucleare svizzero, la consigliera nazionale Corina Eichenberger, ha recentemente affermato che il Consiglio federale ha il dovere di promuovere un dibattito pubblico sul nucleare.

Un dibattito sull'energia è senz'altro necessario, perché non si possono ignorare i rischi di penuria di elettricità, i limiti delle energie rinnovabili o i nuovi bisogni di consumo della società. Il Consiglio federale dovrebbe dunque confermare la necessità nucleare dichiarata nel 2007. Tuttavia sono scettico su questo genere di richieste. Non è infatti possibile che il Consiglio federale conduca un dibattito se il ministro responsabile è contro il nucleare. Chiedere a Leuenberger di promuovere l'energia nucleare sarebbe come aver preteso da Kurt Furgler (consigliere federale del Partito popolare democratico tra 1972 e il 1986) una difesa dell'aborto. Dobbiamo dunque armarci di pazienza e attendere fiduciosi che il dibattito evolva in modo naturale nel paese.

Al di là dei sondaggi secondo cui circa il 54 per cento dei cittadini approverebbe la costruzione di nuove centrali (l'ultimo dato dell'istituto Demoscope è dell'ottobre 2009), ritiene che il popolo alla fine voterà in questo senso?

«I dati dei sondaggi sono incoraggianti, se si pensa alla quasi totale assenza di dibattito. Poi, più il tempo passa più la necessità economica si fa evidente, il che non potrà che rafforzare questa posizione. Pur mantenendo nel mercato elettrico interno al 40 per cento la produzione nucleare, non c'è dubbio che tra vent'anni il consumo sarà maggiore. Siamo di fronte ad un fenomeno di società che vede un continuo trasferimento di applicazioni energetiche verso l'elettricità: si pensi al riscaldamento con le pompe a calore, alle vetture elettriche, ai filobus, eccetera. Un esempio: per alimentare due milioni di auto elettriche (che consumano 25 chilowattora ogni 100 chilometri) serve mezza centrale nucleare e per sostituire una parte importante del petrolio da riscaldamento ne servirebbero diverse. Sono certo che l'opzione nucleare sarà determinante per soddisfare la crescente domanda di elettricità, quando questa si imporrà nel mercato della mobilità e rafforzerà la sua presenza in quello del confort. Questa evoluzione avrà un effetto psicologico sui cittadini, contribuirà a cambiare la loro percezione profonda nei confronti del nucleare.

Pubblicato il

28.05.2010 02:30
Claudio Carrer