«Salute! Con questa birra si chiude un cerchio, un percorso di sofferenza durato quasi dieci anni». Xavier Justo è seduto a un tavolo, fuori da un bar di Bellinzona. Fuma una sigaretta e beve un’agognata birra. È passato poco tempo da quando, il presidente della Corte penale del Tribunale penale federale (TPF), David Bouverat, ha letto la sentenza che condanna a sette anni di prigione, rispettivamente a sei anni, i suoi ex datori di lavoro, Tarek Obaid e Patrick Mahony. Coloro a causa dei quali è finito per un anno e mezzo in un’oscura prigione thailandese. Justo è arrivato in Ticino la sera prima direttamente dall’Arabia Saudita dove si era recato per una conferenza: «Per niente al mondo avrei potuto perdere questo momento che avevo da tempo segnato nella mia agenda». L’uomo è commosso, ha gli occhi lucidi. Si distacca un attimo e chiama la moglie. La donna che le è stata sempre vicino e lo ha sempre appoggiato in tutti questi anni. Anche e soprattutto nei momenti più bui: «Ho passato 18 mesi in una prigione thailandese in condizioni estreme, mia moglie è stata torturata psicologicamente e Petrosaudi ha fatto di tutto per sporcare la mia reputazione». Figlio di immigrati spagnoli, Xavier Justo è cresciuto a Ginevra dove ha fatto carriera nella finanza. A un certo punto lascia tutto e se ne va a vivere in Thailandia con la moglie. Qui viene raggiunto da una chiamata di un suo vecchio compagno di scorribande notturne: Tarek Obaid, rampollo saudita cresciuto a Ginevra, gli chiede di andare a lavorare a Londra per la società che ha da poco creato, Petrosaudi. Justo accetta la sfida, ma dopo un po’ entra in conflitto con la società e decide di andarsene. Qualche anno dopo, viene contattato dalla giornalista britannica Clare Rewcastle Brown che sta indagando sulla corruzione attorno al fondo sovrano 1MDB e al primo ministro Najib Razak. «Ci siamo incontrati, siamo diventati amici e le ho consegnato un disco duro contenente 90 gigabits di dati, di cui 227.000 email che avevo ottenuto a titolo cautelativo quando me ne sono andato» ci spiega il 58enne ginevrino. A inizio 2015 il sito Sarawak Report inizia così a pubblicare articoli con prove alla mano sulla “rapina del secolo”, una truffa miliardaria che aveva come protagonisti 1MDB e Petrosaudi. La notizia ha l’effetto di una bomba che lentamente si propagherà fino in Ticino dove a farne le spese sarà la BSI, costretta a cessare le attività per la sua grave implicazione nello scandalo. >> LEGGI ANCHE: L'intrigo malese che imbarazza la BSI Nel giugno 2015, pochi mesi dopo l’uscita dei primi articoli, Xavier Justo viene arrestato in Thailandia, accusato da Petrosaudi di avere ricattato la società. Condannato, resterà in cella per un anno e mezzo fino a quando, grazie a un’amnistia in onore della morte del re, verrà liberato e farà ritorno a Ginevra. L’uomo ha testimoniato più volte nell’ambito dell’indagine che è sfociata nel processo apertosi lo scorso mese di aprile. Oggi ha però lasciato la Svizzera: «Sono ancora sotto inchiesta per spionaggio economico a causa di una denuncia di Petrosaudi e qui per me sarebbe stato troppo complicato poter lavorare. Con la mia famiglia vivo in Spagna, ma giro il mondo dando conferenze soprattutto nel contesto del compliance bancario. Spiego che dietro questi crimini finanziari vi sono delle popolazioni povere e delle vittime che, come nel mio caso, finiscono ingiustamente in prigione, ma in altri vengono persino uccise». Il TPF ha condannato Tarek Obaid e Patrick Mahony a pene detentive senza la condizionale per truffa, amministrazione infedele e riciclaggio. I due sono colpevoli di avere sottratto e riciclato 1,8 miliardi di franchi dal fondo pubblico malese 1MDB. Il presidente della corte ha sottolineato i montanti “inauditi” della truffa che “equivalgono a 150 milioni di salari annui medi in Malaisia”. Tuttavia lo stesso tribunale ha deciso di non arrestare subito i due ex manager, dato che la sentenza non è entrata in giudicato. Una decisione che non ha convinto Xavier Justo: «Se calcoliamo quanto hanno guadagnato con questa truffa e quanto è stato sequestrato loro, possiamo immaginare che hanno messo da parte un bel tesoretto. Diciamo che avrei preferito vederli andare direttamente in prigione». D’altro canto, la notizia della condanna – seppur non definitiva considerato l’annunciato ricorso – è per Justo una buona notizia: «Io e mia moglie siamo molto soddisfatti. Anche se è meno di quanto richiesto dalla Procura federale, sette e sei anni sono per me già una vittoria. Finalmente la Svizzera comincia a emettere delle sentenze normali e corrette per dei crimini finanziari. Era ora!». Dopo un’altra birra è arrivato il momento di salutarci. Xavier Justo ha un’altra chiamata da fare: «La mia amica Clare Rewcastle Brown aspetta notizie. Buone notizie». In fondo, se si è arrivati fino a qui, se la più grande truffa della storia è venuta a galla, è anche merito di questa strana accoppiata: una cocciuta giornalista d’inchiesta e un “pentito” della finanza criminale. |