Brecht in prigione

Ci tocca andare in carcere per trovare di nuovo una lettura di Bertolt Brecht che sappia sorprendere e spiazzare. Ci tocca andare fino a Volterra. Nel carcere di Volterra, sistemato in un'antica fortezza, di cui conserva intatti le mura rudi e il fascino tetro. Lì dove passano i loro giorni, i loro mesi, i loro anni dei prigionieri condannati a lunghe pene detentive per i crimi spesso più odiosi è infatti attiva la Compagnia della Fortezza, una troupe teatrale formata esclusivamente da detenuti e diretta dal regista Armando Punzo. Ogni anno, in estate, la Compagnia allestisce uno spettacolo che propone in sole quattro rappresentazioni ad un pubblico limitato di cento spettatori per volta, nell'ambito del festival "Volterrateatro". Ed ogni spettacolo si trasforma in un evento. Quest'anno il lavoro scelto da Punzo e dai suoi attori era appunto di Brecht, “L'opera da tre soldi”. Che la Compagnia della Fortezza se n'è guardata bene dal mettere in scena pari-pari. Come sempre negli spettacoli finora allestiti infatti il testo scritto serve unicamente da stimolo, è soltanto un materiale con cui lavorare per costruire un senso proprio a tutti gli attori del gruppo. Così delle pagine di Brecht sono rimasti solo alcuni passaggi, spesso reiterati fino all'assurdo, e delle musiche di Kurt Weill ben poche note, inserite per il resto in un'amalgama di suoni molto meridionali e mediterranei, a riflettere la provenienza (dunque il sentimento) della maggioranza dei detenuti di Volterra. “L'opera da tre soldi” allestita quest'anno è una tappa verso lo spettacolo definitivo, che si vedrà l'estate prossima, in occasione dei quindici anni di esistenza della Compagnia della Fortezza. Ma per quanto forzatamente un po' slegato, questo spettacolo, che è in realtà uno studio, svela un potenziale straordinario, che già fa presagire che lo spettacolo compiuto sarà un evento teatrale di valore assoluto. Nella versione 2002 “L'opera da tre soldi” si presenta divisa in due parti. La prima, nel cortile del carcere, in cui alcune scene fortemente rielaborate del testo di Brecht vengono proposte con uno stile a metà strada fra il cabaret tedesco anni '20 (con tastiere, percussioni e canti) e il teatro di Tadeusz Kantor, per un effetto comico-demenziale irresistibile: già l'incipit «nel mezzo del cammin di malavita mi ritrovai in una cella oscura» è rivelatore. Nella seconda parte il pubblico si sposta invece all'interno del carcere, dove ai due lati di un corridoio sono allestite delle istallazioni viventi, nelle quali gli attori si esibiscono a diretto contatto con gli spettatori in brevi siparietti e il pubblico si sposta da uno spazio all'altro, dalla bisca clandestina al letto matrimoniale. La regia di Punzo mira all'essenzialità: tutto nel suo lavoro è sottrazione,.riduzione al minimo gesto con il massimo di capacità evocativa ed espressiva. E gli attori, cresciuti nella sua concezione di teatro laboratoriale, ne sanno perfettamente assecondare le idee. Se oggi la Compagnia della Fortezza è una delle più interessanti realtà del teatro d'avanguardia europeo è anche perché gli attori che la compongono possono vivere quasi in funzione dello spettacolo, maturando sé stessi come attori e come uomini assieme allo spettacolo stesso. Il risultato è di altissima professionalità. E la fiducia reciproca con il regista permette ai bravissimi e vitalissimi detenuti un'operazione molto difficile per tutti gli attori, la fusione della propria vita nel racconto scenico, fino al punto che l'una si confonde nell'altro senza che sia possibile distinguerne i contorni. La resa dello spettacolo è sorprendente. Con i loro sberleffi non soltanto al perbenismo della borghesia (criminale) rappresentata da Brecht, ma allo stesso autore tedesco, i carcerati di Volterra ne mettono pesantemente in dubbio il diritto di parlare del mondo del crimine, dunque di loro stessi, senza averne alcuna conoscenza. Era quanto i detenuti-attori già avevano voluto dire in quello che era finora il loro spettacolo-simbolo, “I negri” ispirato a Jean Genet. La Compagnia della Fortezza rivendica dunque a tutti i suoi componenti il diritto di parlare in prima persona di sé, senza bisogno che ci si metta Brecht a fungere da intermediario. Anzi, avendo la pretesa di parlare e di sentenziare sul mondo della criminalità negando in questo modo il diritto di chi lo vive a rappresentarlo come egli lo sente e a rappresentarsi come egli è, Brecht si rivela oggi non meno arrogante (e borghese) della borghesia che vorrebbe denunciare. Teatro in carcere, un’esperienza unica Il progetto di laboratorio teatrale nel carcere di Volterra è nato nell'agosto del 1988 quando il regista napoletano Armando Punzo, proveniente da esperienze con Jerzy Grotowski e con il gruppo L'Avventura ma stufo del sistema teatrale ufficiale, cercò di far partire su basi diverse la sua vita professionale. Propose così un progetto di socializzazione e rieducazione in carcere attraverso il teatro che ben presto s'è trasformato nella Compagnia della Fortezza, un gruppo di attori che all'interno della prigione svolgono come attività lavorativa il mestiere di attori. In 14 anni di lavoro è stato prodotto quasi ogni anno un allestimento nuovo. Dal 1993 gli spettacoli della Compagnia sono stati rappresentati anche fuori dal carcere e invitati a numerosi festival; ma dopo un'evasione avvenuta in tournée, nel '95, i permessi per ulteriori rappresentazioni fuori dalle mura della prigione sono sempre stati negati. Gli spettacoli allestiti nei primi anni furono tutti di autori napoletanti: “O' juorno 'e San Michele” vinse nel '93 il Premio speciale Ubu. Poi, con “Marat Sade” (Premio Ubu come miglior spettacolo dell'anno e Premio speciale Ubu) Punzo e i suoi estesero il campo delle loro esplorazioni, sempre attenti a riflettere negli allestimenti l'esperienza quotidiana del carcere. È del '96 lo spettacolo più rappresntativo dei detenuti-attori della Fortezza, “¡ negri” da Jean Genet, vincitore del Premio Europa del Festival di Taorminae del Premio speciale al Festival di Parma. Lo spettacolo “Insulti al pubblico” del 1999 da Peter Handke è stato coprodotto con il Theater Spektakel di Zurigo.

Pubblicato il

30.08.2002 05:30
Gianfranco Helbling