I liberali al loro Congresso hanno svolto il proprio compito con applicazione sparando bordate a destra e a sinistra per sottolineare la loro posizione di centro. Se il centro significa essere “per il Ticino delle opportunità, per un Cantone forte e non piagnone…per un Cantone responsabile, dove la razionalità non sia un optional” (Merlini), o essere contrari alla politica dello scambio, del “do ut des” (Sadis) o essere a favore di quelle condizioni e di quei vincoli di stampo “einaudiano” che permettano alla concorrenza di funzionare (Masoni), possono essere tranquilli perché non sono e non saranno soli. Se stiamo ai fatti e non agli slogan credo che i socialisti nei tempi passati e recenti in Governo e in Parlamento hanno dato e continuano a dare un importante contributo nel difficile compito di indirizzare il Ticino verso quei valori. Direi anzi che, rispetto a quei valori, non possono esistere scappatoie di terze vie: o si condividono e si applicano o si cercano consensi con la demagogia, il populismo e il sottogoverno. Forse anche per questo credo in molti abbiamo apprezzato l’invito scherzoso al ppdog a smetterla di “scodinzolare” (Masoni) cercando alleanze precotte che ne aumentino il potere. Il problema che preoccupa non solo i socialisti evidentemente è un altro e i liberali hanno cercato di esorcizzarlo definendo il neoliberismo come qualcosa di “fantomatico di cui molti oggi parlano senza sapere dire esattamente cosa sia..” (Masoni). Vediamo di ricostruire cosa potrebbe essere il neoliberismo partendo da una pubblicazione del “Il Sole 24ore”del 28 ottobre 1990 dal titolo “l’Etica da applicare” dove, tra altre cose, vengono riassunte le teorie che il Nobel dell’economia Milton Friedman espose verso la fine degli anni settanta. In estrema sintesi secondo Friedman i manager devono lavorare solo per massimizzare i profitti a beneficio degli azionisti che, a questo scopo, affidano loro i propri risparmi. Lo Stato da parte sua deve evitare di intervenire perché ci penserà il mercato a promuovere le cose buone e a scartare quelle cattive per la società. La fortuna che hanno conosciuto queste teorie un po’ estreme con l’avvento al potere di Reagan e della Tatcher sta ancora provocando oggi conseguenza nefaste. L’esaltazione della ricerca del massimo profitto da parte dei manager ha infatti favorito una disastrosa bolla speculativa in borsa che ha rovinato molti piccoli risparmiatori e che ha messo in crisi i fondi pensione, ha indotto politici e popolazione a credere in una crescita continua della ricchezza che avrebbe garantito a tutti prosperità e sicurezza rendendo addirittura superate le assicurazioni sociali, ha suggerito liberalizzazioni affrettate e mal studiate che hanno generato una reazione di sfiducia nell’opinione pubblica e ha persino spinto società importanti a truccare i propri bilanci con la complicità di fiduciarie altrettanto importanti incaricate della revisione dei conti. Infine ha creato anche tensioni e contrasti sempre più profondi a livello internazionale a causa dei condizionamenti ideologici imposti dal Fondo monetario internazionale (Fmi) ai paesi in via di sviluppo. In definitiva ha cancellato l’etica dai valori condivisi dalla società civile. Anche se l’obiettivo di Friedman non era certamente questo, questo è stato in un certo senso il risultato più appariscente Le teorie sul mercato che risolve quasi tutti i problemi per cui bisogna ridurre la protezione dello Stato sociale (ci penserà la borsa a distribuire la ricchezza), per cui bisogna liberalizzare senza curarsi troppo di vincoli e controlli pubblici (ci penserà il mercato ad autoregolarsi), per cui bisogna affidare al mercato anche i servizi di interesse universale più delicati (scuola compresa) avevano fatto capolino anche da noi. Appare quindi del tutto logica la preoccupazione di chi torna a chiedere alla politica più governo, più sicurezza, più equità e meno ideologia. Sono anche queste delle premesse necessarie per avere un Cantone responsabile, dove l’ideologia venga lasciata fuori dalla porta affinché la razionalità diventi la regola e non sia l’eccezione.

Pubblicato il 

07.03.03

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