Bologna la rossa, medaglia d’oro della Resistenza, per la sua incrollabile fede democratica e socialista è da sempre nel mirino dei fascisti. Dal lontano 1922 quando le camicie nere, all’inizio delle loro imprese criminali, assaltarono e devastarono la Camera del lavoro. Provocazioni e stragi si sono susseguite per tutto il XX secolo ma Bologna non ha mai abbassato la testa di fronte allo squadrismo e allo stragismo fascisti. Nella città delle due torri i fascisti non sono mai riusciti ad averla vinta, qui non avevano diritto di parola. Solo per fare un esempio, quando il capo dell’MSI Giorgio Almirante, già torturatore fascista e poi repubblichino, si presentò al ristorante dell’autogrill Cantagallo con l’intenzione di far pranzo e poi il pieno di benzina, tutti i lavoratori, camerieri e cuochi incrociarono le braccia: fuori da qui l’uomo de “La difesa della razza”, la rivista che costruiva l’odio contro le “razze inferiori”, gli ebrei per primi. E Almirante restò a stomaco vuoto e senza benzina se ne dovette andare dal Cantagallo con la coda tra le gambe. Era il 21 giugno 1973, e il “Canzoniere delle Lame” compose la canzone “Allarmi siam digiuni”. Un anno dopo, nel 1974, una bomba fascista sul treno Italicus esplose all’interno di una galleria in provincia di Bologna e fece una strage uccidendo 12 viaggiatori, 5 anni dopo Piazza Fontana e tre mesi dopo Piazza della Loggia a Brescia. Per la strage più crudele, l’epicentro della strategia della tensione, bisognerà aspettare il 2 agosto 1980, quando alle 10.25 un marchingegno composto di 5 kg di tritolo e 18 di nitroglicerina uccise 85 persone e ne ferì 200. Condannati in via definitiva i fascisti Fioravanti, Mambro, Ciavardini, Cavallini e poi Bellini, confermata la mano invisibile tanto dei servizi segreti cosiddetti “deviati” quanto del gran maestro della P2 Licio Gelli. Da allora, tutti gli anni il 2 agosto strade e piazze della Bologna democratica tornano a riempirsi di popolo per dire “no pasaran”. Ancora oggi, l’orologio della stazione di Bologna segna le 10.25 e quell’ora, quella data del 2 agosto, resta nel cuore e nella rabbia della città. Sabato scorso, il ministero degli interni e cioè il governo ha imposto al prefetto di concedere ai fascisti di Casapound la piazza di fronte alla stazione, il luogo della strage, per una manifestazione. Nella riunione che ha preceduto quella sciagurata decisione con sindaco e prefetto tutti erano convenuti sulla considerazione che, per evitare la rabbia della città che avrebbe individuato in quella presenza nera una provocazione, i fascisti andavano relegati in periferia con il loro striscione “Riprendiamoci Bologna”. Poi, il colpo di mano. Dall’ANPI al PD, dall’amministrazione cittadina ai centri sociali la protesta, il presidio, la contromanifestazione e dalle finestre secchiate d’acqua sugli squadristi provenienti da altre città. E gli scontri inevitabili quando un gruppo di antifascisti ha tentato di raggiungere la manifestazione di Casapound e la polizia ha fatto muro a difesa dei provocatori. Due poliziotti sono rimasti leggermente feriti negli scontri ed è iniziato il balletto degli indignati di governo. Salvini pretende la chiusura dei centri sociali “occupati dai comunisti” e riscopre il linguaggio fascista degli anni Settanta contro le “zecche rosse”. La Meloni accusa la sinistra di “foraggiare i facinorosi”, Gasparri accusa Elly Schlein di “portarci al terrorismo”. Poliziotti agli ordini di Casapound Il sindaco della città, il pacato Matteo Lepore, ha risposto nel modo più esplicito possibile: “Ci avete mandato 300 camicie nere” a provocare, “l’ordine di concedere la piazza davanti alla stazione è arrivato da Roma”. E il sindacato di Polizia SILP, vicino alla CGIL, ha dipinto un quadro inquietante: “I nostri funzionari prendevano ordini dai capi di Casapound. Ci sono i filmati a testimoniarlo”. La provocazione del governo Meloni è arrivata, guarda caso, pochi giorni prima delle elezioni regionali in Emilia Romagna e Umbria. Giorgia Meloni ha attaccato ferocemente il sindaco Lepore con parole sconcertanti: prima mi chiede aiuti per l’alluvione e poi mi accusa di squadrismo. E lui ha replicato: per avere la obbligatoria solidarietà del governo per affrontare le drammatiche conseguenze dell’alluvione devo forse chinare la testa di fronte alle provocazioni e dire signorsì alla premier? Nelle mani di un manipolo di guastatori della democrazia Nella nostra nota settimanale sulle contorsioni del Belpaese avremmo potuto parlare di immigrazione e deportazioni in Albania, di aiuti secretati ai torturatori libici e tunisini, delle cannonate ad alzo zero del governo contro i magistrati rei di applicare le leggi, a partire dalla Costituzione e seguitando con le leggi europee. O della sparata di Elon Musk, l’intergalattico amico del cuore di Giorgia Meloni, che ha chiesto di far fuori i giudici che rompono le scatole, per la gioia di Salvini e un qualche imbarazzo della premier soprattutto dopo le parole secche del presidente Mattarella rivolte all’uomo forte del prossimo governo Trump: “L’Italia sa badare a sé stessa”. O, ancora, avremmo potuto denunciare il taglio dei fondi destinati alla sanità per convertirli in armamenti. Avremmo potuto parlare di uno qualsiasi di questi capitoli ma le considerazioni finali sarebbero state le stesse. Siamo nelle mani di un manipolo di guastatori della democrazia. Il caso di Bologna è emblematico ed è un appello a chi ancora ci crede nella democrazia, quella definita nella Carta fondamentale della Repubblica, a rialzare la testa. Prima che sia troppo tardi. |